XV

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Seraphine, rinnegata di Shattevel, Castello del principe Damien, reggente di Serfall.

Era impossibile non sentirsi a disagio quando l'intero gruppo di angeli varcò la soglia del salone di Damien, che in quel momento si era dileguato tra gli invitati e mi aveva abbandonata sola lì in mezzo ad intrattenere un vampiro più anziano dell'acida Cornelia.

Colta da un profondo sentimento di inadeguatezza, mi addossai contro una colonna di lucido marmo nero, scusandomi con il mio interlocutore e rifuggendo lo sguardo di Jujah. Il giudice del Tribunale Celeste mi sorrise da molare a molare, come se fossimo tornati indietro di otto anni e stesse per strapparmi di nuovo le ali, assaporandosi quel delizioso momento.

E non mi servì il potere di Damien per rivivere i ricordi, per far fluire la mia sofferenza dentro le ossa; quel dannato sorriso feroce mi bastò per impallidire e rifuggire i loro sguardi. Avevo optato per un abito provocatorio con un profondissimo scollo posteriore, che lasciava esposte le due cicatrici, che nessuno aveva mai visto, se non Damien. Nemmeno Raphael stesso se ne era accorto durante la nostra unica notte insieme: ero stata attenta, nonostante fossi stata presa dalla brama di essere tra le sue braccia, lui -

"Seraphine." La voce fintamente cordiale di Jujah mi diede il voltastomaco, ma mi sforzai di abbassare il capo in segno di rispetto e in brodo di giuggiole continuò: "non sei come ti ricordavo."

Già.
Non lo ero per niente e non solo perché mi ero trasformata in un mostro, ma anche perché entrambi i poteri al mio interno continuavano a combattere per annientarsi a vicenda.

"Sir Jujah." Inclinai di nuovo il capo. "Sono commossa, non credevo potessi vivere abbastanza a lungo da avere ancora un tale onore."

Strinsi i pugni e non mi lasciai soccombere dalla sua espressione tronfia.

"Oh, mia cara, lo immagino bene." Mi fece scorrere un dito indice sotto al mento e mi sollevò il capo. "Ma è ciò che si meritano i traditori, non credi, piccola cherubina?" I suoi occhi neri scintillarono di potere. "Una punizione degna di essere chiamata tale."

"Non sono degna del vostro perdono, Sir Jujah." Feci in modo che il mio sguardo apparve confuso, lontano e rammaricato. "Sono riconoscente della vostra pietà."

"E fate bene." Gli angeli si avvicinarono e dalle loro espressioni mi resi conto che mi stessero per sottoporre alla più grande forma di umiliazione che potesse esistere a Serarray: il riconoscimento dei propri peccati. "Forza, fate mea culpa."

Percepii la furia di Raphael al di là del legame, ma con la mia linfa angelica lo sospinsi delicatamente lontano, accarezzando con dolcezza i suoi scudi mentali. Mi ricompensò con un versetto soffuso, ma non potei tardare ancora: il Tribunale aveva bisogno di credere che fossi sprovveduta e indifesa, così caddi in ginocchio, soverchiata dal loro potere. Caddi in ginocchio ed il tulle bianco dai ricami dorati si aprì come un fiore appena sbocciato intorno a me.

"Confesso, a Voi Sommi Angeli, istituzione del Tribunale Celeste, e a voi, Arcangeli Governatori, che ho peccato in pensieri, parole, opere e omissioni"- arpionai con forza i lembi del mio vestito, ma non permisi alla vergogna di farmi sua schiava; deglutii piccoli blocchetti di ghiaccio e continuai lo spettacolo -"myn skuld." Mia colpa. Mi portai la mano destra al cuore. "Myn skuld, myn heechste skuld." In quel momento fui consapevole del silenzio nel grande salone e, questa volta, la vergogna unita all'imbarazzo mi bruciò le guance come due tizzoni ardenti. "E supplico misericordia."

Mi sforzai di essere chiara, ma la rabbia, la rabbia...
No, non potevo.
Con la coda dell'occhio notai lo sguardo preoccupato di Micheal, Gabriel e Raphael, calamitato sui miei guanti bianchi: i guanti lunghi fino al gomito che avevo deciso di indossare per non far trapelare la verità sul tatuaggio dell'unione.
No.
Non adesso.
Non l'Ombra.
Chiusi gli occhi e pregai che la benedizione di quel Tribunale farlocco fosse rapida e indolore.

THE FALLEN | A Gods' NovelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora