XXIV

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Seraphine, rinnegata di Shattevel, Galeone rubato, Mare di Shattevel.

Non seppi quanto tempo trascorsi sdraiata sul ponte di comando; non seppi quanti giorni si susseguirono, perché dopo il primo tramonto persi la concentrazione e la forza di contare le ore, di guardare se il cielo continuasse a cambiare colore e il galeone continuasse a muoversi.

In quel lasso di tempo avevo vissuto l'esperienza più dolorosa della mia vita e ci fu un momento, non so quando di preciso, che decisi di porre fine a quella tortura. Damien mi aveva abbandonato sul ponte di comando senza nessuna spiegazione in merito, o meglio, quattro parole me le aveva anche riferite, ma non ci avevo capito granché e quindi avevo deciso di trascinarmi lungo il legno della nave e raggiungere la parte in cui credevo ci fosse il suo alloggio.

Mi ero aggrappata alla maniglia di una porta e avevo cercato di raccapezzarmi sulla geografia del galeone, ma quando mi ero accorta che fosse del tutto pressoché inutile, mi ero abbandonata contro le travi del legno e persi contro il dolore.

Mi risvegliai intorpidita ed intirizzita in un bel letto bianco, che non somigliava di certo a quello scarno della mia cabina; rotolai sulla mia destra e andai a collidere contro qualcosa di estremamente caldo e soffice. Chiusi gli occhi e mi beai di quella sensazione, fino a quando il mio cervello non registrò l'informazione e saltai giù dal materasso portandomi dietro il lenzuolo.

"Oh, cielo!" Strillai. "Oh, per l'amor del cielo!" Agguantai il fermacarte sul tavolino e lo allungai nella direzione del ragazzo sdraiato nel mio letto, vestito solo con dei pantaloncini. "Chi diavolo sei tu," tuonai. "Cosa accidenti ci fai nel mio letto."

Feci davvero molta fatica a trattenere l'ombra che impetuosa voleva riversarsi fuori dalle mie dita, ma in qualche astrusa maniera riuscii a focalizzare tutta la mia concentrazione in tal compito, eludendo il ghigno canzonatorio del Fae che si stiracchiò nel letto. Era decisamente un Fae, a giudicare da quelle orecchie a punta e quei canini lunghissimi. La porta alle mie spalle si spalancò e Damien varcò la soglia della camera, vestito di tutto punto e pettinato.

"Tu." Mi avvicinai con gli occhi fuori dalle orbite e il fermacarte in mano. "Brutto idiota."

Damien abbassò lo sguardo e lo incatenò al mio.

"Buongiorno anche a te, tesoro e perché diamine vorresti farmi del male con un fermacarte a forma di pesce?"

La sua ironia mi diede il nervoso.

"Ho trovato quel tipo nel mio letto e si da il caso che io sia"— mi guardai dentro al lenzuolo —"nuda."Osservai alla perfezione il singulto del suo pomo d'Adamo e come le sue nocche sbiancarono intorno all'elsa della spada che portava al fianco. "Chi è?" Continuai imperterrita, quasi compiaciuta della sua difficoltà. "Chi diavolo è lui?"

"Ti avevo chiesto solo di controllarla, Cedar."

L'omone dai ricci scuri e dalla cicatrice sulla fronte sorrise felino.

"Ed è ciò che ho fatto, mi sono solo sdraiato al suo fianco. È lei che poi si è rannicchiata contro di me, e non te ne faccio una colpa, bambolina."

"Cedar."

Il tono rude di Damien non sembrò preoccupare minimamente il tal Cedar.

"Ah, bastardo, me la volevi tenere nascosta tanto a lungo? Florian mi aveva detto che nonostante la neve sembrava una vera bellezza." Mi squadrò da capo a piedi ed io fui interdetta dal suo linguaggio. "E non me la sento proprio di dissentire."

"Cedar, fuori da qui."

Cedar si sollevò dal letto e saltarellò verso l'uscita dalla stanza con una camminata così baldanzosa, che di certo non si addiceva per nulla ad un Fae che sembrava pronto ad uccidere chiunque incontrasse sul proprio cammino.

THE FALLEN | A Gods' NovelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora