XIII

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Seraphine, rinnegata di Shattevel, Galeone rubato, Mare di Shattevel.

Mi svegliai con un terribile mal di testa e con la schiena dolorante. Mi girai su un fianco e caddi su un pavimento umidiccio e legnoso.

"Porca miseria," biascicai come se avessi preso una sbronza colossale. "Che posto è mai questo?" Mi sfregai la fronte con la mano e cercai di fare mente locale sull'ubicazione. "Che puzza."

Aprii e chiusi gli occhi più volte, mi guardai le mani e i vestiti: qualcuno mi aveva tolto quelle orrende pellicce e mi aveva coperto con degli abiti simil invernali, ma più decenti. E poi i ricordi degli ultimi minuti prima che chiudessi gli occhi, mi sfrecciarono nella mente come pericolose saette; meno di dieci secondi dopo fui fuori dalla cabina di quello che aveva tutta l'intenzione di sembra il galeone, che Damien aveva avuto così tanta voglia di rubare. Mi guardai intorno stralunata, perché era notte fonda e anche perché non conoscevo proprio niente di navi.

"Dove sei," ringhiai al buio. "Dove ti sei cacciato questa volta?!" Superai un paio di barili e per poco non inciampai nel cordame. "Un galeone! Per Shattevel, un maledetto galeone. Non una barchetta, ma una gigantesca nave comandata da"— mi voltai verso la parte in cui credevo vi fosse il ponte di comando —"oh, ma certo, comandata dal Capitan Nessuno e da un pizzico di magia." Presi un po' d'aria prima di continuare la filippica. "Perché io sono Damien il principe dei Fae del Trono del Tramonto, Seraphine!, un regno estinto, ma non ti preoccupare"— calciai un'ennesima corda con rabbia —"siamo tutti vivi e vegeti, e vogliamo fare una bella rivoluzione."

"Bel discorsetto."

Saltai per aria e lanciai un gridolino alla vista del cavallo alato e con il corno.

"Per l'amor degli Dei," blaterai e mi allontanai dal cavallo. "E tu chi diavolo sei?"

"Oh, ragazzina, dovresti portare un po' di rispetto nei confronti di chi ti ha salvato la vita." L' unicorno mi sorrise.

Già, l'unicorno mi sorrise.
Non seppi se fosse più assurdo il fatto che stessi parlando con un cavallo o che questo cavallo mi stesse sorridendo in maniera umana e sfarfallasse le ali come una farfalla vanesia.

"Avevo tutto sotto controllo," sbuffai dal naso e incrociai le braccia.

"Oh, io non credo." Si avvicinò con uno zoccolo ed io mi ritrassi. "Sei acerba come una mela."

"Grazie del complimento," sbuffai. "Mi mancavano le prese in giro di un cavallo, perché sono già dovuta venire a patti con poco nell'ultima settimana."

"Un cavallo?" Si schernì l'animale sventolando la criniera con stizza e interrompendo il mio monologo. "Sono Pegaso, messaggero della Corte del Tramonto."

"C-C-Che cosa?" Le mie braccia caddero lungo i fianchi. "N-non mi aveva detto nulla."

"Mi hai chiamato quando avevi bisogno di aiuto."

"Io non ti ho chiamato."

"Oh, signorina, l'hai fatto invece." Mi sorrise, ancora, ma questa volta paterno e si avvicinò, strusciandomi il muso sulla spalla; non osai muovermi, non provai a fare un passo o quella fonte di conoscenza infinita avrebbe potuto anche rivoltarsi contro di me. "Ma non lo sapevi e non lo potrai sapere fino a quando non aprirai il cuore alla luna."

"Alla luna?" Chiesi sospettosa ed instupidita dall'irrealtà della situazione.

"Alla luna, mia cara."

E detto questo, si guardò alle spalle, mi sorrise un'ultima volta e si lanciò al galoppo nel cielo con le ali spiegate nel buio della notte.

"Un classico: recitare indovinelli e sparire, davvero un classico."

THE FALLEN | A Gods' NovelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora