II

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Seraphine, rinnegata di Shattevel, Castello di Serfall.

Varcai la soglia del salone in cui Akeldama aveva accompagnato gli arcangeli con le loro compagne e la cercai con lo sguardo. Avevo bisogno del suo sostegno. Se avessi avuto l'intenzione di rimanere nella stessa stanza in cui vi era Raphael, avrei dovuto sicuramente avere un bastone a cui appoggiarmi.

Quella persona però non fu Akeldama, poiché la mano del Principe Damien si posizionò appena sotto le mie scapole e mi distrasse dalla mia apprensione; la appoggiò proprio sul punto in cui un tempo avevano svettate imperiose le mie bellissime ali color crema, ora sostituite da due lunghe cicatrici che mi solcavano l'intera schiena.

Rabbrividii al contatto e mi morsi l'interno della guancia per non perdere la testa.

"Puoi farcela."

La sua voce musicale mi raggiunse le orecchie in un mormorio soffuso e fui quasi certa che utilizzò l'ultima briciola del suo potere solo per permettere di sentirmi a mio agio in presenza dei visitatori.

Gli sorrisi di sbieco e sollevai lo sguardo. Quel movimento fu un errore fatale. Nell'angolo opposto del salone, gli occhi blu notte di Raphael si incatenarono ai miei. Conoscevo quelle due pozze scure che rispecchiavano il fondale degli abissi, avrei potuto disegnare le sfumature di quel colore ovunque e non solo nelle pareti della mia stanza a palazzo; sarei addirittura stata in grado di dipingere le varie gradazioni d'oro e d'argento delle ali del mio ex compagno, la sua imponente apertura alare e...

"Seraphine?" Una voce sottile mi distrasse dai miei pensieri e avvertii numerosi sospiri di sollievo. "Grazie."

La parte noiosa dell'avere delle cherubine? Gli arcangeli erano in grado di provare tutto ciò che i propri fratelli vivevano. Dunque, ognuno aveva potuto avvertire il mio dolore e come Raphael avesse reagito a quest'ultimo, ma al contrario le cherubine non sarebbero mai state in grado di percepire che una piccola briciola di tutti i sentimenti dei dieci. Nemmeno la compagna di un arcangelo poteva udire le emozioni del proprio amante, se non nel momento in cui lui stesso voleva.

"Sì?" Spostai la mia attenzione su Drusilla, la compagna di Micheal, l'arcangelo che era in grado di percepire le paure degli esseri viventi e sorrisi tesa. "Dimmi."

Drusilla era la ragazza con la quale mi ero legata di più quando frequentavamo l'Accademia Celeste e maggiormente dopo l'unione. Minuta e con un adorabile caschetto color ebano, aveva acquisito parte del potere di Micheal, quando entrambi si erano scambiati i voti durante la cerimonia di condivisione: una sorta di matrimonio che sanciva l'eterno legame tra le due anime.

Con un'occhiata veloce mi studiai il polso, coperto dalla lunga manica nera, luogo dove era stato inciso il simbolo della mia unione, ora sbiadito e maciullato. Nel corso degli anni avevo più e più volte tentato di strapparmi quella sotto specie di tatuaggio dalla pelle, ma a niente erano valsi i miei tentativi: i simboli arcaici sarebbero rimasti impressi sulla mia epidermide, volente o nolente.

"Avrei bisogno di scambiare con te un paio di parole in privato," mi rivelò, toccandomi con gentilezza il braccio destro. "Per favore." Il mio cuore iniziò a galoppare, così come la mia paura, tanto che tutti gli arcangeli furono attratti dalla nostra conversazione. "Non avere paura, cara."

"D'accordo," tagliai quel discorso a metà e le indicai l'uscita, non prima di aver chiesto il consenso al mio regnante, che mi rispose con un breve cenno del capo.

Guidai Drusilla in una piccola stanzetta attigua e fui sorpresa di notare come Micheal non si fosse mosso dalla propria posizione; quasi sarei stata sul punto di scommettere che almeno avesse provato a seguirla per accettarsi che non le facessi alcunché, ma rimase intento a studiare i movimenti di Akeldama.

THE FALLEN | A Gods' NovelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora