FANFICTION CONCLUSA.
I protagonisti di questa storia sono due: Daryl Dixon e Melissa, un personaggio inventato da me che andrà a legarsi alla storia dei protagonisti della serie che già conosciamo. Melissa è una ragazza italiana rimasta intrappolata...
Calciare, urlare e dibattermi fu inutile. Mi ritrovai le mani legate dietro la schiena, incappucciata e disarmata. Chi erano quelli? Dove mi stavano portando? E perché, PERCHE' mi avevano salvata? Ero pronta. Pronta a morire e ad arrendermi a questa vita di merda. E ora mi ritrovavo ancora nei miei peggiori incubi. Mi stavano trascinando in quella che dalla puzza immaginai essere la fogna. Furbi. Persi la cognizione del tempo e quando finalmente mi levarono il cappuccio non feci in tempo a girarmi che mi chiusero una porta in faccia. Mi guardai in torno. Uno sgabuzzino. Pulito. La porta aveva una piccola finestrella di vetro trasparente e mi affacciai spiaccicando il naso al vetro. Un corridoio, nient'altro. Appoggiai l'orecchio alla porta. Voci confuse, ma non vicine. Lo sgabuzzino invece era vuoto. Completamente. Una prigione. Pensai rassegnata. Ma questa volta, non gli avrei permesso di farmi del male. Così aspettai. Dopo quella che mi sembrò una mezzora sentii voci e passi avvicinarsi. Appoggiai nuovamente l'orecchio alla porta. <Non è ancora tornato, quindi dobbiamo pensarci noi. Tornerà presto, intanto facciamo il nostro lavoro e cerchiamo di risolvere questa situazione> disse una voce da uomo. <Allora?> erano davanti alla porta ormai e mi ritirai in un angolo, non avevo bisogno di stare alla porta per sentire cosa si dicessero. Con ancora le mani legate dietro la schiena mi sentii troppo vulnerabile ma non riuscii a liberarmi. <Non ha detto niente e a malapena si è mossa. Sicuri non sia stata morsa?> allora qualcuno lasciato a controllarmi lo avevano lasciato, ma non ero riuscita a vederlo. <Controlleremo meglio, ma non erano ancora abbastanza vicini da ferirla quando l'abbiamo presa>. La serratura scattò e subito dopo la porta si aprii rivelando tre facce. Giovani, tutti e tre giovani, poco più della mia età probabilmente. <Non fare cazzate> disse il ragazzo con i capelli rossi e occhi verdi.
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Per un attimo mi ricordò Abraham. Scacciai il pensiero, non avrei più rivisto il mio amico. Dietro di lui stava un ragazzo con i capelli neri e lo sguardo vacuo, ma rimase fuori. E il ragazzo che apriva la porta aveva i capelli biondi tagliati corti e occhi azzurro ghiaccio.
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<Alzati> mi disse quest'ultimo con stizza. Non mi mossi. Non gli avrei reso le cose semplici. Occhi azzurri si chinó verso di me e io gli piantai un calcio dritto in mezzo alla faccia. <Brutta stronza!> mi ripagò con la stessa moneta. Sputai il sangue che subito mi inondò la bocca e gli sorrisi sfidandolo. Ero stata due settimane in stato quasi vegetale e sentivo il bisogno di agire ora. <Mantieni la calma Elijah! Cazzo> disse il rosso tirandolo indietro. Entrò lui nello sgabuzzino e mi tirò su di forza. <Non rendere le cose difficili ragazza> Gli diedi una testata sotto al mento e mi ritrovai buttata a terra nuovamente. <Fermo!> disse il rosso e vidi Elijah pronto a colpirmi fermarsi. <Conosci le regole. Avanti muoviamoci> Con mia sorpresa non mi incappucciarono e poco dopo entrammo in un'altra stanza. Una sedia, un tavolino con strumenti poco promettenti e un bacile d'acqua arredavano la stanza buia. Mi fermai, rifiutandomi di fare altri passi. <Siediti> mi disse il rosso. Non mi mossi. Lui sospirò e mi trascinò fino a lì, per poi legarmi i piedi alle gambe della sedia. Cercai inutilmente di dargli qualche calcio ma ormai capita la situazione fu abile a scansarli. Si inginocchiò davanti a me, mortalmente serio. <Intanto, prego per averti salvato la vita. Non ti stai comportando come qualcuno in debito.> Avrei voluto rispondergli che non avevo chiesto io di essere salvata ma non dissi nulla. <Bene, non ti piace parlare ma noi abbiamo bisogno di risposte. Eravate in sei giusto? Da dove venite? Perché eravate qua?> Quindi erano riusciti a vedere anche gli altri. <sei pazzo se credi che ti dirò qualcosa. Oh, sei stupito. Non conosci la mia lingua? Che peccato. Ora cosa vi inventerete?> l'idea di rispondergli in italiano mi venne istintiva. Mi godetti gli sguardi perplessi che si scambiarono. <Stronzate. Ti ho sentito parlare inglese con il tuo amico> Ma il suo viso era palesemente dubbioso. <stai dubitando di te stesso? Forse non hai sentito bene> gli sorrisi e il biondo si fece avanti. <con le buone maniere non otterremo niente> il rosso si fece da parte malvolentieri. <Ultima possibilità prima che le cose si facciano spiacevoli. Chi siete?> Questa volta non risposi, mi limitai a guardarlo finchè non distolse lo sguardo. <Oliver, non otterrai nulla così> disse Elijah. Sorpassò il rosso e si mise davanti a me. <Per quanto credi resisterai?> mi preparai mentalmente a tutto quello che stava per accadere, di nuovo. Quasi mi misi a ridere quando mi trascinarono davanti al bacile d'acqua. Non erano torturatori esperti se volevano affogarmi. O forse non gli piaceva sporcarsi le mani. <Chi siete?> chiese il biondo, e al mio silenzio mi tuffò la testa sott'acqua. Resisti. La voce nella mia testa tornò a spronarmi. Mi tirarono fuori dall'acqua poco dopo, non avevo neanche il fiatone. Mi misi a ridere. Lo sguardo dei tre uomini fu di stupore. Poi mi ritrovai nuovamente con la testa sott'acqua. E ancora. E ancora. E ancora. Persi la cognizione del tempo. Quando smisero mi accasciai sulla sedia stanca e senza fiato, vomitando l'acqua che avevo ingerito. <Parla cazzo! Vuoi continuare così per sempre?> Guardai Oliver negli occhi, lui faceva le domande e Elijah mi metteva la testa sott'acqua. Forse perché sapevo che prima o poi ci sarebbero arrivati, forse perché volevo arrivare subito alla fine, forse perché ero impazzita, ma girai la testa verso il tavolino con coltelli e pinze e lo indicai con il mento. Stai zitta stai zitta stai zitta stai zitta. <Vi ci vorrà quello per farmi parlare, se siete fortunati> Pur non capendo le mie parole capirono il senso. Il biondo si avvicinò e prese un coltello in mano, il rosso invece lo guardava contrariato. <Fermati Elijah> Si mise tra me e lui. <Perché? Questa è la procedura. Solo perché è un ragazza ti tiri indietro?> Oliver quello morbido, Elijah quello duro, ricevuto. <No. è perché non è un pericolo!> Cominciai a tossire altra acqua fuori dai polmoni, e sentii tutti i lividi farmi male. Si girarono verso di me. <A me non sembra una ragazza inerme. E i suoi amici mi sembravano pericolosi> per la prima volta pensai a loro e il terrore mi invase. Erano riusciti ad andarsene? <Se ne sono andati, non sono un problema> Mi rilassai al pensiero, anche se una vocina mi fece irrigidire. Ti hanno lasciata qui. Scossi la testa <zitta>. Quando si girarono verso di me mi resi conto di aver parlato ad alta voce. Dopo uno scambio di sguardi che non capii, li vidi uscire e lasciarmi sola in quella stanza. Sola con un tavolino di coltelli e attrezzi. Trattenni una risata, e cominciai a cercare di liberarmi dalle fascette che mi tenevano le mani legate. Complice la stanchezza, riuscii solo a scavarmi i polsi fino alla carne. Svariati minuti dopo il sangue era colato fin sul pavimento e le lacrime mi pizzicavano gli occhi. Mi addormentai per quella che mi sembrò una vita ma era probabilmente una mezzora scarsa. Quando mi svegliai cercai di liberarmi ancora. Dovevo provare almeno a liberarmi le gambe, ma erano legate molto strette. Con la punta dei piedi mi alzai leggermente e con tutta la forza mi buttai a terra di lato con la sedia. Si ruppe, ma non feci in tempo a cantar vittoria, la porta si aprì.