Capitolo Venti

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                         Phoenix

Accostai l'auto fuori dal cancello nero che circondava la villetta di Vega. Altair al mio fianco si accinse a scendere dall'auto ed io lo imitai.
Il colorito biscottato che aveva preso alle Hawaii gli donava facendo risaltare gli occhi eterocromi.
Era la seconda sera che lo accompagnavo per controllare la casa. Vega sembrava fidarsi solo di lui e Cassiopea per quel compito e come darle torto, di certo non poteva chiederlo a Sirio, tanto valeva lasciare la porta di casa aperta.
Ero preoccupato, inutile negarlo. Da quando era partita per New York un forte senso di inquietudine mi aveva attirato nelle sue spire.

Altair inserì la chiave nella serratura per girare le solite due mandate. Espressamente chieste da Vega.
Adesso potevo capire.
L'ossessione per la sicurezza, la porta blindata, i vetri anti-sfondamento, gli impianti di videocamere di ultima generazione.

Adesso sapevo.
E il cuore mi fece male.
Era tornata lì, dove qualcuno le aveva fatto del male.
Non potevo neanche immaginare cosa provasse e come si sentisse. Avevamo parlato poco, ma ogni volta che trovavo una sua notifica era come vedere un fuoco d'artificio.
Che mi scoppiava nel petto causando non pochi danni.

«L'hai sentita oggi?»

Domandai ad Altair con finto disinteresse. Lui scosse la testa e io mi insospettii, era strano che non contattasse almeno uno di loro.
La serratura si sbloccò e la porta si aprì dopo quattro mandate.
Altair ne aveva chiuse solo due la sera prima.

Ci guardammo confusi, aprì la porta e venimmo inghiottiti dal buio della casa. Un rumore alla nostra sinistra catturò la nostra attenzione mettendoci in allerta.
Gli feci segno di fare silenzio poggiando l'indice sulle labbra e mi diressi cautamente verso la cucina dalla quale proveniva il rumore e dove era posizionata la porta di servizio.

Qualcosa, o meglio qualcuno, mi finì contro il petto. Un urlo terrificante rimbombò nella stanza quando venni spinto con forza all'indietro, tanto che incespicai al buio finendo contro al muro. Un tonfo, poi qualcosa che si schiantava a terra.

Vega.

La luce venne accesa illuminando la stanza e la scena surreale che avevo davanti. Il pavimento pieno di pezzi che un tempo costituivano un bicchiere, sangue a macchiarli e poi lei...
Quella non era la ragazza che conoscevo.

Seduta sul pavimento, gli occhi adamantini lucidi di lacrime sgranati, vuoti.
Un'espressione di puro terrore le distorceva i lineamenti del viso esangue, i capelli biondi la coprivano come un manto risaltando su quel pallore preoccupante.
Le mani e le gambe piene di tagli e sangue.
Era seduta sulle schegge.
Strisciò indietro sul pavimento ferendosi ulteriormente.
Mi mancò il respiro.

«Vega! Che succede?»

Altair provò ad avvicinarsi ma un altro urlo, stavolta più forte, più acuto, più atroce mi ferì le orecchie e il cuore.
Dove cazzo era Matthew?
Perché era sola?
Che cosa le era successo?
Mille pensieri, uno peggio dell'altro si accavallarono nella mia mente facendomi cadere in un tunnel di preoccupazione e ansia.

La fissai scombussolato, allontanando Altair che aveva lo sguardo fisso sulla sorella ridotta in quelle condizioni.
La cucina fu invasa dai suoi singhiozzi spezzati.
Deglutendo a vuoto il nodo che mi serrava la gola mi chinai sulle gambe, lei seguì il mio movimento attentamente.
Ma non era con me.

Mi sembrò di tornare a pochi giorni prima nel mio ufficio e ancora alla sera del falò sulla spiaggia.
Si allontanò spingendosi indietro con le gambe ancora su quei resti acuminati. I singhiozzi si fecero più forti, il petto si alzava a ogni respiro mozzato.
Tirò le gambe verso di lei raggomitolandosi in posizione fetale.
Qualcosa dentro di me si ruppe definitivamente, non ressi più dinanzi a quel macabro spettacolo.

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