Capitolo Trentacinque

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Il nervosismo aveva invaso ogni fibra del mio essere così come il veleno intriso nelle parole di mia sorella. Come poteva dirmi quelle cose? Accusarmi di averla messa nell'ombra quando mi ero sempre fatta in quattro per lei, per tutti loro, per farli stare bene in ogni situazione.
Mi ero letteralmente annullata e dovevo anche sentirmi dire che l'avevo messa in disparte e che sarebbe stato meglio che me ne tornassi dal mio ex psicopatico.

Non sapevo come si sarebbe risolta quella situazione ma al momento non avevo alcuna intenzione di parlare con Andromeda o con chiunque dei miei fratelli.
Dovevo però discutere con Alya della sua pessima reazione ma lo avrei fatto più tardi, in quel momento volevo solo cercare di buttare tutto fuori per un attimo e allontanarmi dalla realtà.

«Vuoi andare al Luna Park?»

Scossi la testa poggiandola contro il sedile sul quale mi ero rannicchiata.

«Possiamo andare alla galleria d'arte?»

Mi strinse il ginocchio nella mano inondandomi di brividi.

«Possiamo andare dove vuoi.»

Lo ringraziai con un flebile sorriso, lui non fece domande né sollevò la questione e gliene fui immensamente grata.
Arrivati fuori all'edificio di mattoni rossi parcheggiammo nel parcheggio adiacente dirigendoci verso il portone di vetro e insenature dorate.

«Sei riuscito a scoprire chi è l'artista di quel dipinto?»

Aprì la porta della sala lasciandomi passare avanti ed entrare nella grande sala immersa nella luce.
Immediatamente un senso di quiete mi avvolse

«No, mi dispiace a quanto pare è qualcuno di anonimo.»

Arricciai il naso dispiaciuta.

«Che peccato, ci sono altri suoi quadri qui?»

Scosse la testa affiancandomi per intrecciare le nostre mani facendomi strada verso aree della galleria che la volta precedente non avevo avuto modo di visitare.

«Sai se si possono fare acquisti?»

Si fermò accanto alla scultura decapitata di un toro.

«Vorresti comprarlo?»

Mi strinsi nelle spalle guardando con innocenza la sua espressione, un misto di scetticismo e incredulità.

«Quel quadro è strano, in senso buono, riesce a trasmettermi qualcosa che non sono ancora riuscita a definire ma che mi fa stare bene.»

Deglutì distogliendo lo sguardo da me per poter ammirare la scultura accanto a noi.

«Non saprei a dire il vero, potremmo chiedere.»

Mossi un passo verso di lui. Avevo notato il suo cambio di umore e non volevo infastidirlo o innervosirlo.

«Andrebbe bene per te? Se lo comprassi intendo.»

Mi guardò da sopra la spalla accennando un misero sorriso intriso di tristezza.

«Non riesco a immaginarlo in nessun altro luogo se non in casa tua Vega.»

Ricambiai il sorriso cercando di infondergli un po' di tranquillità stringendogli la mano. Proseguimmo il giro ma il suo cellulare iniziò a suonare proprio quando eravamo quasi arrivati nell'area dove c'era il quadro. Lo estrasse dalla tasca dei pantaloni e il suo viso si fece immediatamente serio e preoccupato.

«È Viktor, devo rispondere.»

Scusandosi si allontanò nella sala d'entrata per poter parlare con Viktor, l'agitazione montò in me a ondate sempre più imperiose costringendomi a sedermi sul primo divanetto disponibile per cercare di calmarmi e respirare profondamente.

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