Capitolo Ventotto

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                      Andromeda

Ero sempre stata definita la più tranquilla dei miei fratelli, colei che cerca di evitare le discussioni, quella che vuole a tutti i costi che tutti vadano d'accordo.
La bambolina, sempre così dolce e brava, che dispensa sorrisi a destra e a manca. Quella che impedisce a Cassiopea di uccidere Sirio e Alya un giorno sì e l'altro pure.
Il perfetto compromesso tra i caratteri folli e burrascosi di Cassiopea e i miei gemelli e quello calmo e ponderato di Altair.
E Vega?

Non potevo collocarla in nessuno dei due settori, se io ero il perfetto compromesso tra loro, Vega racchiudeva in sé entrambi gli aspetti.
Forte e dannosa come una tempesta di fulmini, tranquilla e carezzevole come un caldo vento di primavera.
La parte migliore di noi. Il nostro collante, colei che riusciva a tenerci uniti, sempre e in ogni circostanza.
Ma non ne era consapevole.

Ero seduta sul letto a fissare le centinaia di fotografie che abbellivano interamente la parete avanti a me.
Foto che ci ritraevano sorridenti e felici, che racchiudevano tutti i momenti della nostra vita fin dall'infanzia.

Ero seduta sul letto a fissare una foto in particolare, dove c'eravamo solo noi due. Una delle poche in cui non ci fossero anche gli altri. Sembrava che tutti volessero averla intorno, quasi a litigare per ottenere un briciolo della sua attenzione.
Chissà come ero riuscita ad averla quel giorno tutta per me.

Mi stava abbracciando, le labbra premute sulla mia guancia e gli occhi chiusi mentre io ridevo contenta per quel momento tutto nostro. Avevo dato il mio ultimo esame all'università e lei si trovava con me, non ricordo per quale circostanza fosse venuta a Los Angeles, ma era riuscita ad accompagnarmi.
Anzi aveva preteso di farlo prima di andarsene via di nuovo.

Ero seduta sul letto a fissare la nostra foto da tre ore.
Pensando, immaginando, metabolizzando le sue parole.
Chi era quella nella foto?
Una sconosciuta.
Mia sorella non era più quella, non era più la ragazza felice che avevo fotografato quel giorno.
Era spezzata. Distrutta. Logorata.

Sulla porta apparve un'ombra, la stessa appartenente alla persona che mi aveva accompagnata a casa, senza dire niente, senza fare domande. Rispettando la mia sofferenza e il mio silenzio.
Almeno fino a quel momento.

«Dovevi dirmelo.»

Non staccai gli occhi da quella foto neanche quando il materasso affondò sotto il suo peso.

«Non potevo.»
«Non volevi.»

Lo corressi stringendo le mani intorno alle gambe raccolte contro al petto.

«No. Non potevo farlo Meda, le avevo dato la mia parola.»

Una risata finta risuonò nella stanza illuminata solo dalla lampada sulla scrivania.

«Ma certo, mantenere il segreto era più importante che dirlo alla sua famiglia.»
«Sì.»

Mi girai di scatto incenerendolo con gli occhi.

«Tu non puoi comprendere ciò che lega me e tua sorella, nessuno di voi può. Se lei domani sparisse ancora chiedendomi di non dire a nessuno la sua posizione, lo farei. Senza pensarci due volte. Farei tutto per lei. L'ho già fatto una volta e non me ne pento.»

Scossi la testa amareggiata.

«Sei così leale nei suoi confronti, dimmi le hai già detto che ti sei scopato sua sorella?»

Impallidì deglutendo.
Come immaginavo.
Già, la notte della celebrazione dell'anniversario di mamma e papà.

«Questo è un altro discorso che affronterò con Vega quando sarà il momento opportuno.»
«E quando sarebbe il momento opportuno?»

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