Capitolo Cinquantasei

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I suoi occhi erano puntati su di me, osservavano ogni minimo dettaglio del mio volto, i capelli, le braccia, la mano stretta intorno al telefono.
L'ansia mi stava mangiando ma non glielo diedi a vedere.
Se c'era una cosa che mamma Wayne mi aveva insegnato a fare era quella di nascondere le mie emozioni per non farmi cogliere impreparata dagli altri e ormai ero diventata una professionista al riguardo.

«Posso sapere il tuo nome, bambolina?»

Inarcai un sopracciglio squadrandolo.
Era magro ma le braccia sotto la tuta grigio topo sembravano essere muscolose, doveva avere poco da fare in isolamento quindi con molta probabilità ripiegava sull'allenamento fisico.
I capelli neri e lunghi fino alle spalle tenuti legati in un codino sulla nuca, qualche ciuffo a sfiorargli i lati del viso.

Potevo immaginare cosa avesse attratto così tanto Iris.
Jacob Ford era il tipo dalla bellezza magnetica e pericolosa, quella che sai ti porterà solo guai ma vuoi comunque provare un po' per ribellione, un po' per il brivido del proibito.
L' unica cosa che suscitava in me era profonda rabbia mista a disgusto.

«Come si sta lì dentro? Sei anni devono sembrare infiniti, immagino.»

Rise, una risata secca simile al latrato di un lupo.
Leccò le labbra con un gesto studiato che non mi fece né caldo né freddo.

«Be' finalmente stanno per finire.»
Fu il mio turno di ridere.

«Sei un tipo divertente, te lo hanno mai detto?»

Il suo sorriso si spense quando si rese conto che lo stavo allegramente prendendo in giro, il viso mutò mostrandomi la sua vera faccia.
Trasudava odio da tutti i pori e quella cattiveria e malvagità che avevo visto molto raramente in vita mia.

Eccolo. Pensai.
Ecco il mostro che ha torturato Iris per anni, ecco colui che ha privato una padre e una madre di una figlia e un fratello della sua unica sorella.
Ecco un altro Corey Howard.

«Chi cazzo sei?»

Sputò digrignando i denti con tanta forza che mi parve di sentire lo stridere delle ossa nonostante il vetro divisorio.

«Jacob tu sai a quanto ammonta la tua pena?»

Strinse un pugno tatuato sul tavolo, lessi attentamente le lettere scritte su quattro delle cinque dita.
Ed ebbi la voglia di spaccargli la faccia.
IRIS.
Dall'indice al mignolo sinistro facevano bella mostra di sé quelle quattro lettere.

«Lascia che ti rinfreschi la memoria. Sei accusato di omicidio di primo grado, premeditato, il che vuol dire che rischieresti anche la pena di morte. È un peccato che in California non valga più, non trovi anche tu? Ma sai dove è ancora legale? In Florida, sarebbe un peccato se tu fossi trasferito, vero? So che non sono molto amichevoli lì, be' almeno non più di quanto lo siano qui. Adesso ti pongo un quesito, Jacob caro.»

Il suo viso era viola di rabbia avrebbe voluto saltarmi al collo e picchiarmi, magari anche uccidermi, lo sentivo, lo percepivo sulla pelle.
Era lo stesso sguardo che aveva Corey ogni volta.

«Tu credi che possa davvero essere accettata la tua richiesta per lo sconto di pena per buona condotta? Andiamo Jacob, ti facevo più furbo. Parliamo di un soggetto estremamente violento, pericoloso per la comunità, che ha alle spalle anni di reati e denunce di qualsiasi tipo. Un soggetto che ha ucciso la sua fidanzata, l'ha minacciata con una pistola per poi metterla su un auto e andarsi a schiantare volontariamente contro un albero. Vogliamo parlare della droga che fai entrare puntualmente qui dentro grazie a qualche guardia corrotta? Oh no tranquillo, i tuoi amici sono già stati licenziati e incarcerati anche loro.
Sei solo Jacob.
Quel fallito del tuo avvocato non può niente contro coloro che ti ho schierato contro, sono assetati di sangue e non vedono l'ora di bere il tuo.»

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