Capitolo Quarantadue

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Phoenix

Era notte fonda ormai ed era inutile dire che non avevo chiuso occhio, mi ero rintanato nel mio studio per cercare di lavorare e prepararmi mentalmente all'incontro con Howard.
Ero in ansia, stavano accadendo troppe cose tutte insieme che rischiavano di farmi scoppiare il cervello da un momento all'altro.

Come avevo detto stavo cercando di lavorare ma mi risultava impossibile, la mia mente era ferma a ciò che era successo ore prima in cucina.
Alla morbidezza delle sue labbra, la sensazione dei suoi capelli serici tra le mani, la sua pelle calda a contatto con la mia... ero nei guai fino al collo.

Mi sentivo un adolescente alla prima cotta che non sapeva come comportarsi e cosa fare, sopraffatto dalle sue emozioni.
Ero sempre più convinto che quella piccola donna era stata creata per mandarmi il cervello in pappa e non doveva neanche sforzarsi più di tanto per farlo.

E poi c'era la questione dei video.
Immagini del suo tentato omicidio che aveva tenuto nascoste e adesso capivo il perché.
Erano un'arma, la più potente che aveva contro quel bastardo.
E Viktor sarebbe venuto per vederli.
Cristo.

Sfregai gli occhi con il pollice e l'indice abbandonandomi contro lo schienale della poltrona girevole.
Il muso di Dante mi colpì la coscia richiamando la mia attenzione, sbattendo le ciglia abbassai la mano per accarezzarlo.
Ma lui continuò a colpirmi, sembrava agitato, non faceva altro che lamentarsi.
Corrugai le sopracciglia.

«Neanche tu riesci a dormire?»

Borbottai come se avesse potuto rispondermi, e in un modo tutto suo lo fece con uno sbuffo simile a un abbaio poi si avviò verso la porta grattando con la zampa contro la superficie scura del legno.

Si comportava in modo strano. Incuriosito da quell'atteggiamento mi alzai per aprire la porta, non mi diede neanche il tempo che sfrecciò verso le scale.
Ma che gli prendeva?

Salendo le scale a due a due i miei dubbi furono dissipati appena arrivai in cima.
Una serie di piagnucolii provenivano dalla stanza di Vega, la stessa stanza che Dante stava cercando di aprire con la zampa.
Cazzo.

Mi precipitai ad aprire la porta per trovarla seduta nel centro del letto, le lenzuola sfatte e per metà sul pavimento.
Era inginocchiata, le mani a coprirle il volto, i capelli che le ricadevano come una tenda candida oltre le spalle che venivano scosse dai singhiozzi a stento trattenuti.
Il cuore mi affondò nel petto.

«Vega.»

Dante corse da lei saltando sul letto per darle conforto leccandole le mani.
Alzò la testa di scatto rivelandomi due occhi rossi e gonfi.

«N-non en-entrare. Sto bene.»

Balbettò lasciando che Dante le si stendesse accanto poggiando la testa sulle sue gambe.
Rimasi impalato sull'uscio della porta a fissarla spesato.
Volevo avvicinarmi ma il suo rifiuto mi aveva fermato dal fare qualsiasi mossa.

«Che hai?»

Tirò su con il naso asciugando le guance con un gesto pieno di nervosismo.

«Niente, uno stupido incubo. Mi dispiace averti svegliato, cercherò di essere più silenziosa.»
«Non devi scusarti e poi non stavo dormendo. Ti va di parlarne?»

Scrollò le spalle accarezzando il pelo tricolore di Dante che non le si schiodava da vicino.

«È sempre lo stesso ma stavolta era diverso, mi sveglio su un manto di petali bianchi ricoperta di sangue ma non è il mio... è quello di qualcuno di voi. Lo so, lo sento. E lui è lì a guardarmi soffrire e ride beffeggiandosi del mio dolore.»

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