Capitolo Settantasette

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Phoenix

Il corpo addormentato di Vega si mosse nella penombra della stanza. L'avevo cullata fino a quando il sonno non aveva preso il sopravvento su di lei dandole finalmente qualche attimo di pace.
Almeno speravo.

Un piccolo sorriso mi incurvò le labbra quando si girò sul fianco sinistro, il lenzuolo con il quale l'avevo coperta per evitare che prendesse freddo scivolò dandomi la perfetta visione della sua schiena nuda, il tatuaggio al centro, lo stesso che avevo leccato proprio come avevo immaginato di fare tante altre volte.

Il corpo mi si risvegliò nell'istante esatto in cui il lenzuolo scese di più anche sul suo petto mostrando la parte superiore del seno.
Dannazione era una tentazione continua.

Mi sentivo un drogato in crisi di astinenza, ora che avevo assaporato tutto il suo corpo, ora che finalmente l'avevo avuta, sentivo che non sarei più riuscito a farne a meno.
Era un richiamo costante.

Sorrisi pigramente guardando l'ora sulla sveglia.
Avevamo tempo.

Alzandomi dalla mia postazione, ovvero la poltrona all'angolo dove avevo passato tutto il tempo a guardarla, salii sul letto.
Il movimento causato dal mio corpo le fece arricciare il naso infastidita, mugugnò poi tornò a rilassarsi.
Tenera.

Con delicatezza, cercando di non farla spaventare tirai via il lenzuolo scoprendo il suo corpo magnificamente nudo.

Mia. Era tutta mia e non ancora riuscivo a crederci.

Mi chinai sulla sua guancia per darle un leggero bacio, non si mosse, non sembrò essersene accorta per niente.
Ritentai scivolando lungo la mascella fino al mento, proseguendo verso il collo.

Riuscivo a sentire il battito regolare del cuore pulsare contro le mie labbra.
Ancora nulla.
Doveva essere davvero stremata, di solito aveva il sonno molto leggero.

Andiamo mostricciattolo. Svegliati.

Ero impaziente di rivedere i suoi occhi e di sprofondare ancora dentro di lei.
Al solo pensiero la mia eccitazione crebbe in mezzo alle gambe facendomi rabbrividire di aspettativa.

Stavo ricambiando il favore.
Avevo molto apprezzato il suo modo di svegliarmi a Boston, ora però era il mio turno.
Ora che mi aveva dato la sua completa fiducia nel farsi toccare da me.

Continuai con il mio attento lavoro sul suo collo lambendolo con le labbra e con la lingua.
Un gemito basso le fece vibrare la gola.

«Sei molto fastidioso.»

La sua voce impastata di sonno toccò punti interni del mio cervello che mandarono scariche elettriche lungo tutta la colonna vertebrale.
E il suo sorriso assonnato mi diede il colpo di grazia.

«Mh-mh.»

Mugugnai sorridendo contro la sua pelle e facendo pressione sulla sua spalla la voltai facendola stendere sulla schiena in modo da intrappolarla sotto di me.

«Dobbiamo andare in ospedale.»

Mormorò rauca piegando il collo e sollevando il petto in un muto segno di incoraggiamento. Era ancora mezza addormentata.
Vagai con le mani sul quel corpo che mi mandava in estasi.

Scesi con la testa verso il suo seno dedicando minuziosa attenzione ai capezzoli già turgidi per me. Leccai e succhiai quello destro lasciando a quello sinistro le carezze della mia mano.

Soffiai sulla punta bagnata dalla mia saliva e la sua pelle si sollevò in una miriade di brividi.
Oh sì, sempre così reattiva.

«Abbiamo tutto il tempo.»

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