Eravamo fermi come due idioti da dieci minuti a fissarci in silenzio nella sala open space di casa sua. Lui era poggiato contro la vetrata che dava sullo skyline di San Diego illuminata dalle luci notturne, le braccia conserte e la testa reclinata contro il vetro con indosso ancora il cappuccio. Mi fissava da sotto le ciglia che sfioravano gli zigomi spruzzati di lentiggini.
Io me ne stavo appollaiata sullo schienale del divano a guardarlo di rimando.
Da dieci minuti.Mi schiarii la gola un paio di volte ma nessuno dei due sembrava voler aprire bocca e la situazione iniziava ad irritarmi.
Le parole di Viktor mi tornarono in mente come un insetto fastidioso che ti ronza vicino alle orecchie.
Phoenix dovette percepire il mio crescente nervosismo perché sciolse le braccia raddrizzandosi e finalmente si decise ad aprire bocca.
«Mi dispiace.»
Un piccolo sussurro arrochito che mi arrivò dritto nella pancia. Risucchiai le guance mordendole dall'interno.
«Per avermi aggredito verbalmente, per avermi mandato a fanculo o semplicemente perché sei un
coglione?»Deglutì ed io mi ritrovai a seguire il movimento del suo pomo d'Adamo con fin troppo interesse dato il momento delicato.
«Tutte e tre, presumo.»
Annuii piano senza staccargli gli occhi di dosso.
Sembrava nervoso e irrequieto. Continuava a mettere e togliere il cappuccio sulla testa come se da lì avesse potuto prendere ispirazione su cosa dire.«Te ne sei andato.»
La voce mi uscì bassa e incerta ma la mia espressione rigida non tradì quanto fossi ferita.
Si bloccò, la mano sulla testa e gli occhi acquosi puntati su di me, sul fondo nuotava ancora un po' di quella rabbia che gli avevo visto in ospedale e qualcosa in me mi fece scattare.
Saltai in piedi muovendo qualche passo verso di lui.«Te ne sei andato nel momento peggiore per me. Con il mio migliore amico mezzo morto in sala intensiva, tu te ne sei andato perché eri offeso.»
La mano scivolò dalla sua testa posandosi lungo il fianco, il labbro gli tremò appena ma lo fermò prendendolo fra i denti.
Non diceva niente, ascoltava impassibile il mio sfogo che andava peggiorando sempre di più.Sentivo il mostro dentro di me nutrirsi delle emozioni negative covate in quelle lunghe ed infernali ore.
L'incidente.
La litigata.
Ward.
Era tutto cibo che andava ad alimentarlo facendolo diventare sempre più grande e più feroce.«Avevo bisogno di te. E tu te ne sei andato. Mi hai lasciato.»
Sentivo gli occhi sempre più brucianti come se ci fosse un fuoco dietro che ardeva mandandomi lampi di dolore al cervello.
La mia stupida emotività e la mia stupida capacità di somatizzare ogni cosa.«Mi dispiace.»
Ripeté con enfasi, negai con la testa lasciando che i capelli mi solleticassero il collo e le guance.
«Non me ne sono andato sul serio, sono rimasto per un'ora fuori dall'ospedale. Avevo bisogno di calmarmi prima di tornare dentro per parlarti, poi ho pensato di venire a prenderti un cambio. Ma non ti ho mai lasciato.»
«Lo hai fatto nel momento in cui mi hai voltato le spalle per uscire da quel cazzo di ospedale perché eri troppo offeso del fatto che non ti avessi parlato della telefonata. Te lo avevo detto Phoenix! Tutto ma non la telefonata. Lo sapevi eppure hai reagito lo stesso come un perfetto coglione.»Rimase in silenzio a fissarmi. Dal labbro che teneva ancora tra i denti vidi comparire una piccola goccia di sangue.
«Devi dispiacerti di questo. Di avermi lasciato nel mio momento peggiore, quando avevo più bisogno di te.»
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Universe's Voice
RomanceEssere la secondogenita di sei figli non è mai stato semplice, crescere circondata da cinque fratelli e sorelle, imparare a dividere e condividere tutto, ma Vega ha sempre amato tutto questo. Una famiglia numerosa, amorevole e sempre pronta a sosten...