Capitolo Ottanta

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Viktor

Quando arrivai allo studio avevo un diavolo per capello e notare il caos che regnava lì dentro non fece altro che peggiorare il mio umore.
Sentir parlare Vega delle mie origini mi aveva riportato in luoghi della mia mente che volevo evitare di toccare ancora.

«Avvocato! Avvocato!»

Fermai la marcia spedita verso il mio ufficio dove avevo delle chiamate urgenti da fare al dipartimento di Jacksonville per capire come cazzo era possibile che avessero lasciato scappare quello psicopatico.
Fulminai con lo sguardo Ambra, la segretaria, che indietreggiò spalancando gli occhi.

«Cosa c'è? Sono impegnato, non voglio essere disturbato da nessuno e che nessuno entri nel mio ufficio per tutto il giorno!»

Tuonai, non le diedi il tempo di finire la sua frase balbettante che mi chiusi la porta dietro le spalle con forza ignorando la moretta dagli occhi verdi che mi fissava dalla sua scrivania.
Forse avrei dovuto darle la giornata libera per permetterle di stare vicino a sua sorella ma la verità era che preferivo averla sotto gli occhi per controllarla.
Se era in ufficio non poteva combinare casini e non poteva succederle nulla, no?

Inspirai profondamente sedendomi sulla poltrona dietro la scrivania e passando le mani nei capelli massaggiai la testa alla ricerca di una soluzione divina.
Non sapevo cosa fare.
Vedevo i miei amici in pericolo, soffrire, con una possibile anzi due possibili minacce di morte ed io mi sentivo così impotente.

Era una sensazione che non sperimentavo da troppo tempo e il fatto che fosse tornata in concomitanza con determinati ricordi non faceva altro che peggiorare la mia ansia.
Avevo appena sollevato la cornetta del telefono pronto a far partire la prima chiamata quando un leggero bussare seguito dall' improvviso spalancarsi della porta mi lasciò interdetto.

E ancora di più quando vidi che era Cassiopea ad avermi interrotto ignorando la mia richiesta di lasciarmi solo.
Quella donna lo faceva di proposito a farmi uscire di senno, doveva provare qualche piacere sadico nel mettere alla prova la mia pazienza.

Senza degnarle un'occhiata di più composi il numero del referente che avevo alla centrale di Jacksonville, erano loro ad essersi occupati del trasferimento di Ford.
Lei non si fece intimidire, come sempre con il suo atteggiamento di sfida nei miei confronti.

«C'è una visita per te.»
«Ho detto di annullare tutti gli appuntamenti, anche se dovesse presentarsi Gesù Cristo in persona. Non ho tempo per nessuno.»

Con tutta calma lei spostò la poltrona davanti alla scrivania accomodandosi, accavallò le gambe e senza riuscire a trattenermi seguii quel movimento fissando la carne nuda e chiara lasciata scoperta dalla gonna che indossava.

«La finiamo con questo comportamento infantile o vogliamo continuare a oltranza?»

La fulminai con lo sguardo, per sua fortuna dall'altro capo del telefono mi risposero prima che potessi diventare davvero acido e cattivo anche con lei.

«Avevo detto di deviare tutte le mie telefonate.»

La voce rauca e grossa del detective Morrigan mi colpì l'udito.

«Sono Stanković, hai cinque secondi per spiegarmi come cazzo abbiate fatto a farvi scappare un uomo con il suo complice e far mettere fuori servizio due guardie. Cinque secondi prima che faccia radere al suolo quello schifo di centrale che avete nei bassifondi di Jacksonville.»

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