Capitolo Cinquantuno

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Il silenzio aleggiava pesante tra di noi dopo quel racconto agghiacciante. Ormai non mi preoccupavo neanche più delle lacrime che copiose continuavano a scendere senza fermarsi.
Potevo solo immaginare quello che stava provando.
Quello che aveva provato quando gli avevo raccontato tutta la verità.

Ecco perché era scappato via.
Era stato troppo per lui.
Io ero la personificazione di quello che sarebbe stata sua sorella... se solo fosse sopravvissuta.

Fu automatico per me avvolgergli il busto con le braccia e premere la guancia su quelle cicatrici, prova indelebile di ciò che aveva cercato di fare per salvarla.

La presa intorno alle mie cosce aumentò quando i polpastrelli affondarono nella carne. Le mani irrigidite così come tutto il suo corpo.
Era un fascio di nervi.

«Mi dispiace... così tanto.»

Bisbigliai contro la pelle tesa chiudendo gli occhi e lasciando che le gocce lavassero via qualche strato di colore.
Non mi importava di averlo anche sul viso in quel momento.
Non mi importava di nulla se non di lui e del suo dolore.

«Dov'è lui adesso?»

Inspirò bruscamente.

«In carcere, ma ha fatto domanda per la buona condotta. Viktor e Cassiopea si stanno occupando di tutto insieme agli avvocati di mio padre. Forse riuscirà a fare qualcosa di buono nella sua vita per una volta.»

Lo strinsi forte fregandomene della possibilità, seppur remota, di fargli male.

«È quello che vedo tutte le notti, l'auto che esplode e io che non riesco a salvarla. Lei che muore davanti ai miei occhi. E mi sento così inutile e impotente. Ci ho provato Vega, te lo giuro ho provato a salvarla con tutte le mie forze...»

Il tono sofferente mi fece male al cuore e quando la voce gli si spezzò fui sicura che un dolore del genere non l'avevo mai provato.
Ora riuscivo a capire perché mi sentissi così vicina a lui.
Perché ero attratta da lui oltre l'aspetto, oltre l'innamoramento.
Semplicemente oltre.

Phoenix riusciva a capirmi e io a capire lui.
I nostri passati erano simili, accomunati dallo stesso destino bastardo.
Io ce l'avevo fatta però, Iris no.

«Shh. Lo so, lo so. Non è colpa tua.»

Le sue spalle sussultarono sotto il peso di un singhiozzo trattenuto troppo a lungo, per troppo tempo.

«Se fossi rimasto con lei, se quella sera non avessi bevuto così tanto... forse sarebbe ancora qui.»

Feci forza sulle sue braccia per farlo voltare verso di me riuscendo nell'impresa nonostante le sue resistenze. Accolsi il suo viso tra le mie mani asciugandogli le guance.

«Non faccio altro che pensarci, a come sarebbe andata se mi fossi impuntato un po' di più contro quella relazione che me l'ha portata via.»

Passò una mano sotto al naso tirando su.

«Magari sarebbe ancora qui, magari avrei ucciso io quel bastardo.»

Non sapevo cosa dire. La voce sembrava bloccata in gola, paralizzata davanti alla scena di lui che crollava davanti a me.
L'angolo della sua bocca si alzò in un sorriso triste.

«Le saresti piaciuta, Dio che dico, ti avrebbe adorata proprio.»

Riuscii a sorridere tra gli occhi appannati dalle lacrime.

«È lei vero? La persona che ti ha insegnato a cucinare, la stessa che ti ha istruito sull'EKUB, quella che ti ricorda me?»

Annuì piano.

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