Capitolo Cinquantatré

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Phoenix

Padrino.
Sarei stato il suo padrino.
Io.
Non riuscivo a quantificare la gioia che stavo provando in quel momento.
Non ci potevo ancora credere.
Avevo il cuore in fibrillazione dall'emozione.
Gioia che però a quanto pareva era destinata a durare poco, come sempre nella mia vita.

Quando Vega riapparve in giardino capii subito che c'era qualcosa che non andava.
Era nervosa e dal suo viso era sparita anche la più piccola scintilla di felicità provata qualche attimo prima.

«Phoenix, puoi venire un secondo?»

Si voltarono tutti verso di me quando in meno di un secondo mi alzai dalla sedia per raggiungerla preoccupato.
Le sfiorai il braccio guardandola.

«Che succede?»

Con un cenno indicò l'interno della casa.

«Vieni.»

Alle nostre spalle era sceso il silenzio, tutti erano concentrati su di noi.
Sempre più confuso e agitato la seguii dentro. Mille pensieri e teorie iniziarono a vorticarmi nella testa, una peggiore dell'altra.

Cosa era potuto succedere nei circa sette minuti e mezzo durante i quali si era allontanata?
Be' la risposta mi apparve davanti in quel momento, con la sua peggiore espressione di superiorità stampata addosso e vestito della solita finta onnipotenza che continuava a mostrare.
La stessa con la quale mi guardava da quando avevo diciotto anni.

Scott Carter, alias mio padre, era in piedi nel salone del mio migliore amico.
A San Diego, città che non vedeva probabilmente dal 1992, ossia dalla mia nascita.
Rimasi di sasso davanti a quella scena.
Tutto mi sarei aspettato tranne che vedere lui.

«Grazie Miss Wayne, se non le dispiace ora vorrei disquisire con mio figlio in privato.»

Automaticamente la mia mano corse a fermare Vega per il braccio, intenta già a lasciare la stanza come gentilmente richiesto da Scott.

«Non fare un solo passo.»

Ordinai mantenendo lo sguardo sulla figura davanti a me.
Le mani nelle tasche e il viso serioso come sempre.

«Phin...»
«Non muoverti Vega.»

Indicai Scott con un cenno, avevo i nervi a fior di pelle, la sua sola vista mi creava disgusto.

«Che cosa ci fai qui?»

Alzò le spalle facendo qualche passo nella stanza guardandosi intorno.

«Ho provato a chiamarti svariate volte ma a quanto pare hai altre cose a cui pensare.»

L'occhiata di sufficienza che le rivolse mi mandò in bestia.

«Bada a come parli.»

Sbuffò una finta risata scuotendo la testa.
Vega nel frattempo si liberò dalla mia presa, la guardai per farle capire che doveva restare lì dove si trovava e per fortuna parve capire.

«Che cosa sei venuto a fare?»

Sfiorò un soprammobile di cristallo guardandolo incuriosito poi passò oltre.

«Carino notare come ti diverti mentre l'uomo che ha ammazzato tua sorella sta per uscire di prigione.»

Il mio viso perse ogni colore mentre la rabbia esplodeva dentro di me come un vulcano.
La mano di Vega si posò sulla mia spalla fermandomi prima che potessi avanzare verso di lui.

«Proprio da te, non avrei dovuto aspettarmi niente di meglio.»

Strinsi forse i pugni cercando di controllare la voglia di colpirlo.
Era pur sempre mio padre.
Stronzo fino al midollo, cattivo, ma pur sempre mio padre ed io a differenza sua sapevo come comportarmi.

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