Capitolo Quaranta

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Phoenix

- Boston, Massachusetts.
- Otto anni prima.

La palla rimbalzò contro il cerchio del canestro prima di centrarlo in pieno.
Tom esultò urlando correndo ad abbracciarmi ridendo.
Gli scompigliai i capelli scuri con la mano mentre abbracciati e sudati ci prendevamo una pausa dal nostro allenamento quotidiano.

«Sei migliorato pappamolla.»

Lo canzonai lanciandogli al volo una bottiglia di acqua.

«O sei tu che inizi a perdere colpi?»

Mi sfotté colpendomi il braccio con un pugno.
Stavamo svolgendo la solita partita di metà settimana che ci concedevamo fin dal liceo ma che negli ultimi tempi era diventata un'occasione sempre più rara. Con la laurea e il progetto per aprire lo studio di architettura ero stato costretto ad abbandonarli per un po' concentrandomi sul mio futuro, lo stesso che mio padre ripugnava tanto.

Voleva che prendessi in mano l'azienda di famiglia che andava avanti ormai da più di trent'anni passando di generazione in generazione ma non aveva capito che non era quella la mia vocazione.
Non ne volevo sapere niente di finanza.

Ma lui non era dello stesso avviso, lo avevo deluso scegliendo architettura anziché economia e ancor prima dedicandomi all'arte invece che aiutarlo in azienda come "un figlio grato avrebbe dovuto fare."

Tsk.
Un bravo padre invece avrebbe dovuto sostenere il proprio figlio in qualsiasi scelta senza farlo sentire un errore, un peso o una delusione per la famiglia.
Non ci parlavamo dalla fine del liceo ormai se non per le cose strettamente necessarie.

In casa ci ignoravamo completamente sotto gli occhi sempre più tristi di mia madre spettatrice silenziosa della disfatta del nostro rapporto.
Ma non mi interessava, avevo fatto la mia scelta accettando le conseguenze. Stavo inseguendo i miei sogni, l'apertura dello studio era sempre più vicina e nonostante la mia giovane età potevo già contare di un buon nome nel mio campo e tutto solo grazie a Mason Price ex professore e mentore che mi aveva accolto sotto la sua ala e insegnato tutto ciò che sapevo inserendomi in quel mondo lavorativo.

Una gomitata nelle costole da parte di Tom mi riportò al presente. Lo guardai confuso ma il suo sguardo era lontano da me, per la precisione puntato oltre il campo all'aperto dove stavamo giocando. Oltre la recinzione, verso le panchine del parco immerso nel verde.
La plastica della bottiglia che avevo in mano venne stritolata facendo fuoriuscire il liquido che mi inzuppò la mano.

«Non si erano lasciati?»

Borbottò mantenendo lo sguardo truce sui due oggetti del nostro interesse.
A quanto sembrava no.
L'avevo avvertito di starle lontano così come avevo avvertito lei di smettere di vederlo.

«Aspettami qui.»

La mano di Tom provò a fermarmi prima che facessi qualche stronzata ma scrollandomela di dosso con un gesto brusco a passo di marcia mi diressi verso di loro.
Saltai la piccola aiuola fiorita che mi intralciava il cammino e arrivai a pochi passi da loro.
Lo stronzo mi vide e sorrise sardonico sfidandomi a fare la prima mossa.

«Guarda, guarda chi c'è, Phoenix Carter che piacere vederti.»

Serrai la mascella sentendo i denti sfregare.

«Oh, ti sei portato anche l'amichetto?»

Sbeffeggiò Tom che mi stava affiancando.
Ghignai.

«Tranquillo Ford non ho bisogno di aiuto per spaccarti la faccia da coglione che ti ritrovi.»

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