Capitolo Trentasei

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                         Phoenix

Quella piccola strega era capace di mandare in tilt il mio sistema nervoso con un misero gesto.
Non aveva fatto niente di strano, niente di così eclatante, solo un misero bacio all'angolo della bocca che mi aveva incendiato come non mai.

«Torna al tuo posto Vega, fallo per la mia sanità mentale te ne prego.»

Ridacchiando con quel suono così allegro e malizioso che servì solo a peggiorare ulteriormente la situazione si rimise composta al suo posto allontanandosi da me, la scia del suo profumo floreale rimase però nell'aria contribuendo a stordirmi.
Scossi la testa cercando di riprendermi, avvertivo ancora l'impronta dei suoi denti sulla carne dell'orecchio e la scia di brividi che non cessava di alzarmi la pelle.

«Come siamo suscettibili signor Grinch.»

Si prese gioco di me con quell'espressione malandrina stampata sul viso arrossato.
Tossii cercando di ritrovare il mio contegno perso chissà dove nel momento stesso in cui si era avvicinata a me.
Mettendo in moto uscii velocemente dal parcheggio per portarla a casa dove avrebbe fatto meno danni.

«Ti ha dato qualcosa Jasmine? Sei alquanto su di giri e la cosa mi sembra molto sospetta.»

Allungai la mano verso di lei posandogliela sulla fronte calda ma non di febbre.
Gli occhi lucidi e vivi continuavano a guardarmi, il labbro stretto tra i denti e un mezzo sorriso ad incurvarle la bocca.

«Nel mio stomaco non entra niente da ieri sera, sono solo allegra per quanto possa essere strano e fuori luogo.»

Inarcai le sopracciglia lanciandole un rapido sguardo per poi tornare sulla strada che iniziava a popolarsi di gente che andava a lavoro e turisti.

«Dovrei preoccuparmi di renderti allegra più spesso allora se questa è la reazione.»

La sua risata melodica riempì l'abitacolo e il mio cuore fece un triplo salto carpiato nel petto tuffandosi direttamente nel mio stomaco.
Era davvero allegra come non l'avevo mai vista e pensare che potessi essere io la causa di tutto quello mi sollevò di dieci metri dal suolo.

«Ho ancora intenzione di comprare il quadro.»

Ovviamente.

«Soprattutto sapendo che è tuo.»

Inaspettato.
Sorrisi timidamente svoltando a destra per fermarmi nel primo Starbucks disponibile e sfamarla. Non era una gran mangiona, l'avevo capito, ma la colazione era il suo pasto preferito, non la saltava mai e quando succedeva non le si poteva rivolgere la parola. Diventava una specie di servitrice di Satana in attesa di sbranare chiunque osasse anche solo guardarla.
Un Gremlin a tutti gli effetti.

Appena notò l'insegna verde quando posteggiai l'auto batté le mani come una bambina causandomi una piccola risata che mi vibrò nel petto.
Uscii dall'auto per aprirle la portiera e farle cenno con la testa di scendere.

«Andiamo mostriciattolo, devi cibarti prima che tu decida di farlo con le mie carni.»

L'occhiata piena di malcelata lussuria che mi rivolse squadrandomi da capo a piede mi fece fremere.
Porca miseria che diamine le prendeva?
Chiusi la portiera con un po' troppa forza cercando di riprendere il controllo di me.
Non potevo eccitarmi per una semplice occhiata né tantomeno farlo in un cazzo di locale pieno di gente.

«Non mi dispiacerebbe.»

Inclinò la testa di lato, i capelli scivolarono oltre le spalle nude e il suo sguardo mi percorse nella mia interezza ancora una volta.
Okay doveva smetterla, qualunque cosa stesse facendo o le stesse succedendo, doveva davvero smetterla o avrei mandato a puttane i miei buoni propositi sbattendola contro la prima superficie disponibile.
Stirai le labbra in un ghigno avvicinando il mio viso al suo per poter guardare da vicino quei lapislazzuli ipnotici.

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