Capitolo Cinquanta

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                         Phoenix

- San Diego, California.
- Sei anni prima.

La musica assordante del locale mi rimbombava nelle orecchie rendendomi impossibile capire cosa mi stesse dicendo all'orecchio la ragazza che mi si era incollata al braccio. O forse era a causa dell'alcol che avevo in corpo e che mi aveva rallentato tutti i sensi oltre che i movimenti.

Non sentivo niente al di fuori della musica e delle risate sguaiate di Tom mentre ballava con l'amica della tizia che non mi si scollava di dosso.
Non ero dell'umore per dare retta anche alle ragazze quella sera, volevo solo divertirmi con i miei amici e festeggiare finalmente l'apertura del mio studio di architettura.

Dopo anni di studio, sacrifici e tanto sudore ci ero riuscito. Avevo realizzato il mio sogno e inaugurato lo studio proprio quella sera.
Erano venuti tutti all'inaugurazione, tutti tranne mio padre.
Non mi aspettavo niente di meglio da lui, aveva solo dimostrato per l'ennesima volta quando fosse un pessimo padre e quanto la sua presenza nella sua vita non mi serviva.
Stavo bene senza di lui.

«Ehi Phin! Altro giro!»

Tom si alzò barcollante dal divano del privé sul quale era steso venendo verso di me, inciampò sul basso tavolino e quasi cadde portandosi tutto dietro.
Risi davanti alla scena avvicinandomi per aiutarlo porgendogli la mano.

«Sto bene, sto bene.»

Borbottò più ubriaco di me sghignazzando mentre abbracciati e ridenti ci avviavamo al bar per ordinare altro da bere cantando le canzoni del tifo dei Los Angeles Lakers.

«Barman! Due whisky sour!»

Urlò facendo il numero due con la mano mentre si sedeva sullo sgabello ma perdendo l'equilibrio quasi cadde, per fortuna i miei riflessi sembravano ancora funzionare.
Lo afferrai al volo prima del capitombolo.

Il barman ci servì i due bicchieri di liquore quando sentii il cellulare vibrare contro la coscia. Allungando distrattamente delle banconote lo afferrai.
Era Iris, mi stava chiamando.
Feci scorrere il dito sullo schermo mentre mi allontanavo insicuro sulle gambe dal casino per riuscire a sentirla.
L'aria fresca di quella sera di fine Agosto mi aiutò a riprendermi un po'.

«Gemella cattiva cosa stai facendo?»

Biascicai poggiandomi contro il muro del palazzo.

«Phoenix! Phin aiutami ti prego! Ti prego Phin! È impazzito!»

Mi misi subito in allerta sentendo le sue grida spezzate dai singhiozzi.

«Iris? Che sta succedendo? Dove sei?»
«Lascia quel cazzo di telefono o ti ammazzo! Vieni qui!»

Sentii una porta sbattere poi l'urlo di mia sorella.
Lo stomaco mi si contorse e l'alcol risalì tutto.

«Iris!»
«Mi sono chiusa in camera ma sta venendo a prendermi! Ha una pistola ed è strafatto. Ti supplico Phin, aiutami.»

Non so cosa feci di preciso, so solo che mi ritrovai dentro al locale, la pura che mi mangiava lo stomaco mentre trascinavo Tom fuori di peso.

«Sto arrivando. Resta al telefono con me, hai capito? Non attaccare Iris, sto arrivando.»

Tom capì al volo che qualcosa non andava nonostante i fumi dell'alcol ingerito.
Afferrai le chiavi della macchina e partii a razzo verso casa di quel bastardo.

Ero sempre stato contrario a quella storia ma avevo finto di accettarla solo per lei, per non farla allontanare da me.

«Raccontami cos'è successo.»

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