Capitolo Trentasette

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                    Andromeda

Il liquido disinfettante a contatto con il minuscolo taglio bruciò peggio dell'inferno.
Strinsi gli occhi emettendo un flebile lamento premendo con cautela il batuffolo di ovatta sul labbro.
Aprendo gli occhi lo ritrovai macchiato da qualche goccia rossa, il sapore amaro mi finì anche in bocca.

Con stizza lo buttai via nel lavandino poggiando le mani sulla ceramica fredda e nera di quel bagno di lusso nel quale amavo passare il tempo per rilassarmi, concedendomi lunghi bagni e tante ore di skin care. Quel bagno arredato con così tanto gusto, avrei dovuto immaginarlo.
Mamma e papà non erano capaci di tanta raffinatezza.
Le parole di Vega mi avevano fatto male, sbattute in faccia più forte dello schiaffo di Alya che non avevo quasi sentito al confronto.

Mi avevano fatto male ma io ne avevo fatto di più a lei.
Lo sapevo e mi stavo logorando il fegato per quello.
Mi ero comportata da stupida bambina capricciosa solo perché non accettavo di essere stata rifiutata dal suo amico.
Matthew.
Non riuscivo ad avercela con lui nonostante tutto, e nonostante la rabbia non riuscivo ad avercela con Vega o Alya che mi aveva colpito.
Avevano ragione, tutti.

Ero arrivata al limite, satura di cose non dette e taciute nel tempo che non avevano fatto altro che inacidirmi il sangue portandomi a sbottare in quella maniera.
A dirle quelle cose orribili e disgustose.
Come avevo potuto?
Mi guardai allo specchio, il viso pallido, il mascara colato che macchiava di nero le guance e quella ferita scarlatta che risaltava sulle labbra secche e screpolate.

Afferrando un dischetto struccante ci versai sopra del latte detergente e iniziai a passarlo sugli occhi per pulire quel casino.
Mi ero presa un girono di malattia al lavoro, avevo avvisato che non sarei andata sottostando alle prediche di Peter, quel coglione patentato.
Avevamo tanto da fare allo studio, Phoenix aveva chiamato a raccolta i migliori avvocati per lei.

Phoenix, che neanche la conosceva.
E io che ero sua sorella?
Io l'avevo aggredita, le avevo dato dell'egoista, le avevo detto che doveva tornarsene da quello...
Non ce la facevo, non potevo pensare di averlo davvero fatto.

Passai il dorso della mano sotto al naso piangendo in silenzio.
Avevo rovinato tutto, tutto quello per cui avevo lavorato duramente in quegli anni, il nostro rapporto così solido... avevo buttato tutto al vento senza pensarci due volte.
Mi odiavo per quel mio essere così infantile, dovevo essere grata di quello che avevo e della vita rosea e piena di successi che stavo vivendo nonostante i periodi difficili.

Periodi nei quali ogni volta che mi giravo trovavo sempre lei alle mie spalle, non l'avevo mai detto a nessuno degli altri, neanche ai nostri genitori quando anni prima avevo avuto problemi economici.
Il mio vecchio capo, Daniel Loren un viscido di prima categoria, mi faceva svenare usandomi più come una segretaria barra schiavetta invece che insegnarmi e guidarmi nella professione, mi puniva e tutto ciò solo perché avevo avuto il coraggio di rifiutare le sue schifose avance come invece non erano riuscite a fare le altre ragazze che lavoravano lì.

Lo avevo sfidato, messo in ridicolo davanti agli altri avvocati dello studio legale e questo non gli andava giù così aveva ben pensato di smetterla di pagarmi per mesi e mesi.
Vega era stata la mia unica salvezza e speranza, mi vergognavo troppo per chiederlo a qualcun altro dei ragazzi lei invece non se l'era fatto ripetere due volte. Un'ora dopo la nostra telefonata mi ero ritrovata sul conto quindicimila dollari e un suo messaggio che diceva:

"Spero bastino fino a che lo stronzo non ti paghi. Denuncialo alle risorse umane e licenziati dopo aver avuto tutto ciò che ti spetta. Chiamami se hai bisogno di altro."
Avrei voluto farlo ma in quel momento lo studio di Loren era il mio unico appiglio per un lavoro quantomeno decente così avevo sopportato per un altro anno nel quale lei non si era mai tirata indietro.

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