Capitolo Quarantaquattro

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Scusate l'intromissione ma devo mettere un piccolo TW per alcune scene descritte in fondo al capitolo.

Phoenix

Fottuto Corey Howard.
Ero stato costretto a fargli da guida per tutta la cazzo di San Diego e non contento aveva deciso che il giorno dopo saremmo andati a cena insieme, per festeggiare la buona riuscita del progetto.
Era tutto sorrisi, domande ed entusiasmo.
Ed io volevo solo spaccargli la faccia.

Avevo mandato via Altair qualche ora prima perché avevo notato quanto fosse arrivato al limite, non avrebbe resistito un minuto in più con lui accanto e non potevamo permetterci di mandare tutto all'aria.
Così ero stato costretto a sorbirmelo da solo mentre si faceva scorrazzare per le strade della città.
Adesso stavo finalmente tornando da lei.
Era patetico dire che mi era mancata?

Non avevo potuto sentirla per tutto il giorno che mi era sembrato infinito e più duro di una scalata sulla montagna a mani nude.
Avevo solo bisogno di vederla e calmare il casino che avevo dentro.

Appena entrai in casa capii subito che qualcosa non andava. Le luci erano tutte spente ed era immersa nel silenzio.
Premendo l'interruttore il salone si illuminò e Dante mi corse incontro per salutarmi.
Ma lei dov'era?

Il panico mi attanagliò lo stomaco quando con passi lunghi e veloci controllai nelle stanze del piano di sotto.
Niente.
Salii di corsa nella sua camera anche quella era vuota, provai con un tentativo disperato anche nella mia e nello studio dove dipingevo.
Non c'era.

Il panico aumentò serrandomi la gola.
Cercai spasmodicamente il cellulare per la casa, dovevo averlo lasciato lì da qualche parte prima di uscire quella mattina.
Con le mani che tremavano lo presi dal comodino accanto al letto, quando lo schermo si illuminò mi apparvero decine di chiamate e messaggi da parte sua.
Cazzo. Doveva essersi preoccupata.
Ma dove era finita adesso?

Feci partire la chiamata sul suo cellulare aspettando impaziente con il cuore che batteva forte contro la gabbia toracica. Niente non rispondeva.
Nervoso e sempre più agitato chiamai Viktor.

«Phoenix.»
«Vega non è a casa.»

Uno.
Due.
Tre.

«COSA?»
«Sono appena tornato e lei non c'è Viktor!»

Passai la mano nei capelli camminando su e giù.

«Hai provato a chiamarla?»
«Certo che l'ho fatto ma non mi risponde.»
«Okay, okay calmiamoci. Vega non è stupida, incosciente sì, ma non stupida. Chiamo Cassiopea e vedo se sa qualcosa poi ti raggiungo.»

Cristo.
Dove diamine era andata? E perché soprattutto?
Eravamo stati chiari. Non doveva muoversi da lì e lei che faceva?
Usciva!
Mi avrebbe sentito quando sarebbe tornata, perché doveva farlo.

Mezz'ora dopo ero ancora in attesa, l'ansia alle stelle e la preoccupazione che stava banchettando con i miei organi quando la porta si aprì.
La sua figura, bagnata dalla testa ai piedi a causa del temporale che si stava abbattendo sulla città, entrò quasi in punta di piedi.
Non mi aveva ancora visto, seduto sullo sgabello dell'isola che la fissavo come se avessi voluto sbranarla da un momento all'altro.

«Dove cazzo eri?»

Sussultò portando una mano sul petto spaventata, gli occhi azzurri incontrarono i miei e il suo viso mutò, lo spavento si fece da parte lasciando uscire la rabbia.

«Io? Tu che fine hai fatto invece? Ho provato a chiamarti cento volte e non hai mai risposto!»

Con una calma che in realtà non avevo le mostrai il cellulare.

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