Capitolo Ventidue

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- Cancùn, Messico.
- Settembre di quattro anni prima.

Avevo un saporaccio in bocca, acido misto a qualcosa che sapeva di vecchio. Decisamente vomitevole.
Qualcosa mi ronzava nell'orecchio e la testa pesava, non ricordavo niente delle ultime ventiquattro ore. Lamentandomi a causa di una forte fitta alla testa rotolai il corpo finendo per dare una testata contro qualcosa o qualcuno. Emisi un gemito di dolore aprendo con fatica gli occhi cercando di mettere a fuoco tutto quello che si muoveva.

Ero ancora ubriaca?
Sbattei le palpebre cercando di mettermi seduta, accanto a me Matthew russava e sbavava peggio di un cane.
Che schifo.
Sbadigliai stiracchiandomi e scendendo dal letto. I piedi si posarono su una moquette verde, morbida.

Mh, Matt aveva arredato di nuovo? Strano.
Stiracchiando i muscoli e barcollando passai davanti alla finestra dirigendomi verso il bagno, gli occhi ancora mezzi chiusi.
Avevamo davvero esagerato quella volta.
A tentoni cercai di aprire la porta del bagno ma la mia mano si scontrò con una superficie liscia e fredda.

Provai ancora, il mio orientamento da ubriaca non era il massimo.
Niente.
Facendomi forza aprii gli occhi e mi ritrovai a pochi centimetri da una parete gialla canarino.
Eh? Ma che avevamo combinato? Che mi aveva fatto fumare quel brachicefalo del mio amico?

Girando su me stessa iniziò a salirmi un dubbio. Mobili scuri, quadri di dubbio gusto.
Quello era un pappagallo impagliato?
Quella non era la stanza di Matthew.
Oh no.
Oh cazzo no.
Flash del giorno prima iniziarono a lampeggiarmi nel cervello causandomi solo un peggioramento del mal di testa.
Mi precipitai alla finestra spalancando le tende e quasi urlai.

Un mare scintillante e cristallino si affacciava davanti a me, le palme mosse dal vento, la spiaggia bianca... la bandiera del Messico sul balcone di fronte.
Urlai.

«AH! Che succede!? Che c'è?»

Mi girai di scatto verso Matthew e non seppi se ridere o piangere.
Indossava un cazzo di poncho messicano rosso e verde e aveva dei baffi attaccati sulla faccia.
Dei cazzo di baffi.
Ai piedi del letto era stato abbandonato un sombrero enorme.

«MATTHEW! Che cazzo hai combinato ieri? Ci troviamo in Messico porca troia!»

Lui corrugò le sopracciglia guardandomi come se fossi ancora ubriaca.
Magari!

«Calma, calma Veggy, se fossimo davvero in Messico perché mai io indosserei... un fottuto poncho!? OH PORCA MERDA!»

Scattò in piedi guardandosi sconvolto per poi guardare me. Le braccia allargate.

«Ma che cazzo... che abbiamo fatto ieri? Come siamo finiti qui!? Porca troia Vega, porca troia! Esce il libro oggi!»

Lo guardai male, malissimo.

«TU! Hai parlato di fare un viaggio ieri sera e adesso ci ritroviamo in Messico! In Messico cazzo! E dovremmo essere a New York per l'uscita del mio primo libro!»

Passai le mani tra i capelli ma qualcosa bloccò il passaggio, qualcosa di doppio e ruvido.
Chiusi gli occhi prendendo un profondo respiro.

«Matthew... dimmi che non ho delle cazzo di trecce in testa.»

Cercai di modulare la voce per non mettermi a urlare e imprecare come una pazza. Riaprii gli occhi per trovare Matthew che mi fissava con gli occhi spalancati, le labbra premute tra loro per non scoppiare a ridere.
Inutile. Mi rise in faccia come un coglione.

«Io ti ammazzo!»

Afferrai il sombrero utilizzandolo come arma per colpirlo mentre lui continuava a ridere con tanto di lacrime.

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