Capitolo Trentanove

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Phoenix

La guardavo muoversi nel mio ambiente, nei miei spazi, con aria spaesata. Era ancora un po' pallida ma almeno aveva smesso di piangere.
Viktor mi aveva preso alla sprovvista, non avevo la minima idea del suo piano anche se non mi dispiaceva per niente averla intorno nonostante le circostanze.

L'avevo accompagnata nella stanza degli ospiti, accanto alla mia, così da poterla tenere d'occhio in qualsiasi caso.
Vederla in quello stato mi aveva distrutto gli ultimi brandelli di cuore.
Adesso la guardavo sistemare con molta calma e attenzione le sue cose, poggiato contro la porta.
Dante seduto al mio fianco che non si perdeva un solo movimento, anche lui sembrava felice di averla lì.

«Ti va di mangiare qualcosa?»

Scosse piano la testa, i capelli le scivolarono oltre le spalle finendole davanti al viso.

«Viktor farà anche delle fantastiche uova alla benedict ma io sono il mago dei maccheroni al formaggio.»

Ridacchiò continuando il suo lavoro e il mio cuore si risollevò un pochino. Ero riuscito a farla ridere.

«Maccheroni al formaggio, davvero?»

La guardai con finta espressione offesa.

«I maccheroni al formaggio sono il pasto migliore del mondo, se fatto da me. Dimentica quelle schifezze preconfezionate, ti faccio assaggiare una prelibatezza.»

Le labbra le si stirarono in un sorriso forzato, aveva finito di sistemare ma continuava a tenere gli occhi bassi e le spalle incurvate. Aveva l'aria davvero stanca, non potevo sapere quante e quali cose orribili le stavano passando per la testa in quel momento. Quanti ricordi e incubi doveva star rivivendo e mi sentivo così impotente che mi faceva male non sapere come poterla aiutare, come farle tornare il sorriso e l'atteggiamento vivo di quella mattina.

«Non ho molta fame, ma ti ringrazio lo stesso.»

Sospirando silenziosamente mi staccai dalla porta per raggiungerla accanto al letto. Le lasciai lo spazio necessario per poter fuggire da me in qualsiasi istante se avesse voluto.

«Da quanto tempo non mangi? Scommetto dalla colazione di stamattina.»

Arricciò le labbra rosee e invitanti in una smorfia infastidita. Non le piaceva essere trattata come una bambina che aveva bisogno di essere controllata tantomeno piaceva a me farlo ma ultimamente sembrava volermi sparire davanti agli occhi. Stava perdendo quel poco peso che era riuscita a recuperare appena arrivata. Aprì la bocca ma l'anticipai.

«Le caramelle non valgono.»

Finalmente mi guardò, male, ma almeno i suoi occhi erano tornati su di me.

«Un toast a pranzo con Joy.»
«Un toast è poco, un toast non mi basta, quindi ora andiamo di là, tu la smetti di sistemare cose che hai già messo a posto per venti minuti di fila e mi aiuti a preparare la nostra deliziosa cena così ti distrai e mi fai contento.»

Le tolsi con gentilezza un paio di pantaloni dalle mani posandoli nell'armadio, tornando da lei la presi per mano guidandola fuori dalla stanza. Dante si alzò seguendoci allegro come sempre con il suo passo dondolante.

Accesi la luce e i faretti illuminarono la cucina grigia e nera. Lei rimase impalata per un po' dopodiché in seguito a una serie di profondi respiri mi affiancò, sorridendo le passai i due tipi di formaggi che avrebbe dovuto tagliare e ci mettemmo al lavoro.

Era così strano, cucinare con qualcuno, condividere il proprio spazio con lei, mi preoccupò la facilità con la quale mi ero abituato a vederla muoversi per la cucina, aprire i mobili alla ricerca degli utensili e delle pentole. Si muoveva con una tale confidenza e la cosa non mi dispiaceva per niente, anzi, era bello averla lì.
Mi sarei potuto abituare alla sua presenza in casa.

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