Capitolo Ottantaquattro

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Phoenix

Il tempo scorreva lento ma allo stesso tempo in modo irrefrenabile. Sembrava scivolarmi via dalle mani senza che potessi fare nulla per fermarlo.
Vedevo gli agenti pullulare per la centrale come formiche in fermento. Auto che partivano a sirene spiegate, Ethan che abbaiava ordini a destra e manca, telefoni che squillavano di continuo.
Era un caos totale.

Mrs. Wayne e Mr. Wayne erano arrivati da neanche cinque minuti ed erano chiusi nell'ufficio di Killian. Entrambi sembravano avere più le sembianze di zombie. Smunti, pallidi e con gli occhi arrossati.
Sapere che il quasi assassino della loro secondogenita adesso era riuscito a rapire anche la loro primogenita non doveva essere facile.

Facile.
Quando mai era stato facile? Quando quella situazione era stata normale?

«Com'è possibile che non ancora sono riusciti a scoprire nulla? Dannazione!»

Sollevai lo sguardo verso Viktor che con un calcio aveva aperto la porta che dava sul cortile esterno e sul parcheggio.
Avevamo bisogno di aria, entrambi.
Così come Vega che aveva bisogno di un momento per sé e per riorganizzare i pensieri.

Per questo l'avevo lasciata sola, ero quasi tentata dal raggiungerla, ci stava mettendo troppo e non aveva ancora incontrato i suoi genitori.
Le avrebbe fatto bene stare con loro e ai coniugi Wayne avrebbe fatto bene riabbracciarla.
Rassicurarla.

L'aria fresca della notte mi investì facendomi rabbrividire e stringere nella felpa.
Uno strano pensiero mi era passato per la mente quando avevo visto i genitori di Vega arrivare trafelati.
Forse avrei dovuto chiamare mio padre, sapevo che lui e la mamma erano ancora a San Diego.
Scossi la testa allontanando quell'assurdità e mi concentrai su Viktor.

Camminava avanti e indietro fumando nervosamente. Sembrava un animale in gabbia.
Aveva perso l'autocontrollo che lo contraddistingueva lasciando uscire quella parte di sé che di solito teneva nascosta.
Ma non per Cassiopea.

«Dovrei farli fuori quei due coglioni che se la sono fatta soffiare da sotto al naso. Denunciarli per negligenza.»

Si fermò di scatto, mostrandomi le spalle tese e rigide. Notai i pugni serrarsi lungo i fianchi.

«Vega? Come sta?»

Chiusi per un istante gli occhi frenando l'impulso di rientrare e recuperare Vega dal bagno in cui si era nascosta ormai da un quarto d'ora.
Ma mi ripetei che ne aveva bisogno, avevo notato come era stata restia nel farsi toccare quando l'avevo raggiunta.

Stavano succedendo troppe cose in lei, troppi ricordi e sensazioni negative che rischiavano di mandarla in frantumi.
Volevo aiutarla in qualche modo anche per zittire quella voce dentro la mia testa che continuava a ripetermi quanto fossi inutile.

Ma non potevo aiutarla se prima non lo faceva da sola, se prima non ascoltava se stessa.

«È a pezzi, le ho lasciato un momento per riprendersi e non starle addosso.»

La chioma corvina di Viktor fece su e giù seguendo il movimento della testa in un segno di assenso.

«Certo... certo. Quindi è dentro, al sicuro, circondata da decine di poliziotti...»

Corrugai le sopracciglia scrutando la linea dritta della schiena di Viktor sempre più simile ad una statua di marmo. Mossi un passo verso di lui fino a raggiungerlo del tutto.

Il profilo severo, la fronte increspata, le labbra tese in una linea dura e gli occhi puntati dritto davanti a lui.

«Sì, è così.»

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