Capitolo Sessantotto

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Phoenix se la dormiva della grossa quando sgusciai silenziosa come un ninja fuori dal letto e dalla sua presa da orso.
Era mattina inoltrata e io avevo intenzione di uscire. Avevo bisogno di fare shopping data la scarsa quantità di vestiti che avevo dietro, inoltre avevo finito tutti i cambi quindi la mia prima tappa era il negozio di intimo.
Senza farmi sentire gli lasciai un veloce bacio sulla guancia incantandomi nel vedere il suo volto così rilassato durante quel sonno di cui aveva tanto bisogno.

Eravamo riusciti a dormire entrambi, per una volta. Avvinghiati per tutto il tempo da quando eravamo rientrati dal tetto fino a quando ci eravamo coricati dopo esserci asciugati.
Non sapevo se le cose tra di noi fossero a posto ma il solo pensiero mi creava ansia e agitazione.
Scacciando via quella sensazione uscii di casa facendomi accompagnare da Johanna e Noah, ovviamente.
Ethan invece rimase di vedetta per Phoenix.

Rimasi silenziosa e pensierosa per durante tutta la durata del mio shopping sotto lo sguardo guardingo di Johanna che non mi lasciò neanche per un secondo, nemmeno quando rientrammo.
Phoenix dormiva ancora, strano.
Decisi per una volta di fare io qualcosa per lui preparandogli la colazione.
Non amavo molto cucinare, ero troppo distratta per fare una cosa che richiedeva troppa attenzione e concentrazione ma ero felice di farlo per lui dopo tutto quello che faceva per me ogni giorno.
Volevo solo ringraziarlo.

Gli preparai una colazione salata anche se forse ormai era più un pranzo che una colazione data l'ora. Posizionai le uova, l'avocado toast e il bacon su un piatto che posai su un vassoio che ero riuscita a trovare in un mobile della cucina.

Versai il succo nel bicchiere e il caffè nella tazza e cercando di non combinare uno dei miei soliti disastri andai in camera.
Fu dura camminare in penombra ma riuscii a non far cadere tutto arrivando sana e salva al comodino dove lasciai il tutto.

Mi presi qualche secondo tutto mio per ammirarlo dormire. Era steso sul lato, un braccio stringeva il mio cuscino dove teneva poggiata la testa, l'altro abbandonato lungo il fianco lasciato scoperto dal lenzuolo.

Mi avvicinai piano allungando la mano per seguire le linee del fiore piccolo e delicato che aveva proprio lì.
Si mosse impercettibilmente ma non mi fermai, proseguii verso l'alto, sul braccio, la spalla e poi giù per quella schiena che mi faceva girare la testa.

Si mosse ancora strizzando gli occhi con fastidio quando passai con il dito su una delle due cicatrici tastandone la ruvidità grossolana con il polpastrello.
Era così assurdamente perfetto ai miei occhi da non rendersene neanche conto.
Seguii lo stesso tragitto anche sull'altra cicatrice, quella un po' più spessa e larga.
Poi mi chinai per baciargli la spalla nuda ripetendo tutti i miei gesti con le labbra.

Uno sfarfallio all'ombra della lampada e i suoi occhi chiari simili a quelli di un gatto si aprirono puntandosi su di me. La pupilla era un unico puntino minuscolo in mezzo a quell'oceano ambrato.
Sostenni quello sguardo assonato posando un'altra volta le labbra sulla sua pelle calda.

Non disse niente né si scostò, si limitò a girarsi supino costringendomi a finirgli addosso fermando la mia caduta con le mani sul suo petto.
Non sapevo cosa dire né cosa aspettarmi ma ancora una volta, da quando lo conoscevo, decisi di seguire il mio istinto.

Le pupille da minuscole che erano si dilatarono all'inverosimile quando salii a cavalcioni su di lui.
L'aria si fece tesa e densa intorno a noi nel momento esatto in cui mossi le anche contro di lui stringendo le cosce attorno ai suoi fianchi.
Sussultò e le sue mani corsero a cingermi la vita.

Provò ad alzarsi per mettersi seduto e arrivare alla mia altezza ma con un ghigno felino lo bloccai posizionandogli la mano al centro del petto impedendogli ogni movimento.
Schiuse le labbra per lo stupore quando, senza mai staccare gli occhi dai suoi mi chinai fino ad arrivare al suo addome.

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