Capitolo Settanta

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Un solo attimo, non chiedevo niente di più.
Solo un misero attimo di tranquillità.
Di normalità nella mia vita.

C'è un detto che recita "siamo noi gli artefici del nostro destino" ma quale destino mi stavo costruendo io allora?
Non facevo altro che mentire, no omettere, dire mezze verità o non dirle affatto.
Mi nascondevo dietro l'ombra di me stessa senza neanche sapere il perché.
Ero così abituata a cavarmela da sola che chiedere aiuto, informare altri dei miei piani mi risultava troppo difficile e troppo lontano da me.
Ma continuando a comportarmi in quel modo non avrei fatto altro che allontanare le persone da me.
Allontanare lui.

Lui che mi stava guardando con il viso pallido, il terrore scritto a caratteri cubitali nei suoi occhi e nella mascella tesa tanto che un muscolo guizzò.
Verità Vega. Digli la verità una volta per tutte.
Trassi un respiro molto profondo per calmare il tumulto del mio cuore.
Chi lo aveva chiamato avvisandolo?
Aprii la bocca pronta a rispondere ma mi bloccò.

«No, vero?»

E dammi il tempo di parlare Carter.

«No. Non avevo intenzione di dirtelo.»

Ammisi con sincerità e il terrore sul suo viso sfumò via per lasciare il posto alla delusione.
Non potevo reggerla quella, non dopo che gli avevo confessato i miei sentimenti.

«Però voglio farti una domanda, solo una. Se ti avessi detto quello che stavo per fare, avresti cercato di fermarmi?»

Rimase in silenzio per un po' osservandomi con attenzione, gli occhi che danzavano ovunque sulla mia faccia. Poi un piccolo sussurro.

«No.»

Un peso mi si posizionò sullo stomaco schiacciandolo.

«Non ti avrei fermato perché mi fido di te, so che non sei una sprovveduta e che sì delle volte commetti delle cazzate senza senso, ma sono sicuro che ci sia un motivo valido per il quale hai guidato fino a Sacramento per andare a trovare l'assassino di mia sorella. Non ti avrei fermato perché per una volta saresti stata sincera sin dall'inizio.»

Alzai il mento in uno sfoggio improvviso di orgoglio personale nonostante dentro stessi tremando come una foglia.

«Te l'ho detto, sono andata per uccidere i tuoi demoni e dovrei esserci riuscita quindi, prego Phoenix.»

E con l'ultima goccia di buon senso che mi era rimasta feci una piccola riverenza sotto il suo sguardo allibito.

«Tu... tu...»

Portò il pugno chiuso contro la bocca camminando su e giù per il salone come un leone in gabbia mormorando tra sé e sé.

«Io?»

Mi poggiai contro la spalliera del divano aspettando che raccogliesse i pensieri e mi parlasse.
Non era arrabbiato e questa era già una buona cosa, sperai solo che non avesse intenzione di cacciarmi ancora.

«Tu sei una fottuta pazza Vega, cosa cazzo ti è saltato in mente? Vuoi sapere chi mi ha chiamato? Era Jacob Ford in persona dal carcere in Florida!»

Uno scintillio nei suoi occhi, lo stesso che brillò nel mio cuore.

«Lo hanno trasferito.»
«Sì, lo hanno trasferito.»

Era stato quel bastardo a fare la spia, avrei dovuto pensarci prima. Conoscendo il suo odio nei confronti di Phoenix era una mossa che avrei dovuto prevedere.

Camminò verso di me tenendo lo sguardo ben puntato sulla mia figura che immobile e fintamente rilassata lo guardava di rimando.

«Tu sei andata a Sacramento.»

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