CAPITOLO 1

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COLE'S POV

<<Ma quando si decideranno ad arrivare le nostre valigie? E poi perché non abbiamo preso uno dei jet di papà?>> 
Si lamenta Micòl scostando i suoi lunghi capelli corvini dalla sua spalla coperta dalla maglietta attillata che indossa.
<<Sai che non sono necessari questi tuoi lamenti?>>
Le dico non aspettandomi una risposta e mantenendo lo sguardo fisso sul nastro trasportatore. Ormai sarà passata un'ora da quando siamo atterrati, ma ancora non c'è nessuna traccia delle nostre valigie.
<<Sentite ragazzi, io vado a sedermi su una di quelle sedie laggiù, appena arrivano le valigie raggiungetemi lì>> 
Ci avverte nostra madre prima di dirigersi, facendo risuonare i suoi tacchi alti, verso la fila di sedie metalliche disposte a qualche metro di distanza
<<E ora chissà quanto ci toccherà aspettare prima dell'arrivo delle nostre cose>>
Sbuffa Micòl incrociando le sue braccia tornite e scurite dal sole estivo.
<<Senti, se proprio devi continuare a brontolare ti prego di andare a sederti con nostra madre laggiù>>
Le dico irritato dalle sue continue lamentele. Dopo la mia risposta rimaniamo in silenzio avvolti dal vociare delle persone presenti nell'areoporto, anch'essein attesa della propria valigia. Un quarto d'ora dopo, finalmente riesco a scorgere la grossa valigia nera di mia madre e perciò, non appena si trova alla mia portata, l'afferro con un gesto deciso senza troppi sforzi e l'appoggio a terra. Poco dopo arriva sia la mia valigia che quella di Micòl, che però ha difficoltà a sollevare la grande mole che si è portata dietro.
<<Sai, potresti anche aiutarmi invece di guardarmi in quel modo>>
Dice lasciando andare la valigia che riprende il suo corso sul nastro. Non appena ritorna dalla nostra parte sollevo senza troppo sforzo anche la sua di valigia e le dico:
<<Almeno impari a portarti dietro lo stretto necessario>>
<<Senti io ho portato le cose necessarie e non tutti hanno la capacità di infilare un anno di vita dentro una valigia così piccola>> 
Mi redarguisce con l'indice puntato sul mio petto. Non mi scompongo di fronte alla faccia irritata di mia sorella e senza aspettare oltre afferro le valigie raggiungendo nostra madre che sta parlando allegra con una delle sue tante amiche, ed è così coinvolta nella conversazione che non nota l'arrivo dei suoi due figli.
<<Chantel>>
La richiama Micòl con voce decisa
<<Oh...Ce l'avete fatta alla fine>>
Esclama sbattendo le sue lunghe ciglia coperte di mascara . E prima di alzarsi saluta calorosamente l'amica all'altro lato del telefono.
<<Bene, ora chiamo Drake per sapere dove sta, almeno potremo finalmente tornare a casa>> Afferma scostando i suoi corti capelli biondo cenere che le ricadono dolcemente sul viso ambrato e, dopo questo suo gesto abitudinale, tira fuori dalla borsa di marca nuovamente il suo cellulare su cui inizia a picchiettare con le dita smaltate di un rosa pallido componendo il numero di Drake con cui parla per un paio di minuti. Terminata la breve telefonata, ci dirigiamo svelti verso l'uscita dell' aeroporto internazionale di Newark superando diversi negozi pieni di gente che chiacchiera animatamente. Una volta fuori dal grande aeroporto, veniamo catapultati nel grande caos di macchine che si affrettano per accaparrarsi i pochi parcheggi rimasti liberi. Studiando la zona circostante il mio sguardo viene catturato da una ragazza che sta piangendo rumorosamente davanti a un ragazzo che cerca di confortarla; probabilmente si devono separare, ma ciò non spiega quello sfogo di emozioni non necessario per una motivazione così frivola, penso mentre raggiungo l'audi Q3 nera parcheggiata dall'altra parte della strada.
<<Non vedo l'ora di farmi una bella doccia e di sistemarmi>> 
Cinguetta nostra madre massaggiandosi le tempie con le sue dita lunghe e curate.
<<E io non vedo l'ora di tornare nella città da cui mi avete portata via senza preavviso>>
Borbotta Micòl lisciando gli eleganti pantaloni bianchi che ha indosso.
<<Cos'hai detto Micòl?>> Domanda nostra madre voltandosi verso di lei.
<<Niente mamma>>
 Lo sguardo severo che le rivolge nostra madre le fa immediatamente capire l'errore che ha commesso.
<< Quante volte ti ho detto di non chiamarmi mamma? Mi fa sentire vecchia>> 
La redarguisce  lanciandole uno sguardo torvo
<<Non lo faccio mica apposta e poi non ci tengo tanto a chiamarti mamma visto che questo titolo non ti si addice>>
 Le risponde a tono Micòl sedendosi composta. Mia madre rotea gli occhi irritata prima di ricomporsi sul sedile davanti, accavallando le sue lunghe gambe abbronzate. Ormai è abitudinale questo scambio piccato tra le due, tanto che mi ci sono abituato. Mi volto verso il finestrino della macchina osservando il paesaggio che scorre imperturbato davanti a me, inconsapevole di quella che è la mia vita, inconsapevole di qual è il mio fardello. L'ultimo anno è stato molto stressante e impegnativo e nonostante continui a convincermi del contrario, un po' mi è mancata la mia città natale e i posti familiari in cui sono cresciuto. Preso com'ero nei ricordi non mi accorgo del fatto che siamo arrivati fin quando non sento il leggero cigolio dei grandi cancelli di ferro che si spalancano lentamente permettendo al veicolo di entrare all'interno della grande struttura. In poco tempo raggiungiamo la grande villa bianca dalle ampie vetrate chiusa da una grande porta scura. Non appena Drake parcheggia davanti alla villa, scendo dal veicolo pronto a scaricare le valigie insieme a lui.
<<Non c'è bisogno signorino, qui ci penso io>> 
Mi dice l'uomo che lavora per noi da ormai un decennio.
<<Non è un problema>> 
Gli rispondo afferrando la grande valigia di Micòl, che ci sta osservando ad alcuni passi di distanza.
<<Ragazzi io vado dentro ad avvertire i domestici che siamo arrivati, almeno possono iniziare a preparare il pranzo. Drake lascia pure la mia valigia nell'atrio.>> 
Ci informa Chantel prima di dirigersi verso la grande porta di casa nostra.
<<Non fa altro che impartire ordini>> 
Si lamenta Micòl a braccia incrociate criticando per l'ennesima volta nostra madre.
<<Non fa mai niente>>
Aggiunge poi corrucciando il suo viso perfetto coperto da un leggero trucco che si intona  alla sua abbronzatura
<<Come se tu ci avessi aiutato a scaricare le valigie>>
<<Va bene che vado in palestra ma ventisette chili ancora non li sollevo>> 
Risponde prima di afferrare la sua valigia che trascina penosamente sul terreno di ghiaia.
<<Arrivederci signorino.>> 
Dice poi Drake prima di salire in macchina. Quanto non sopporto quando mi chiama in questo modo odioso. Con un po' di fatica, visto il terreno su cui mi trovo, trascino le due valigie fino all'entrata dove mi accoglie Margaret, la donna che ci ha veramente cresciuti e credo anche amati.
<<Cole>>
Esclama regalandomi un sorriso raggiante che illumina il suo viso tondo e pieno, privo di rughe.
La saluto senza scompormi più di tanto permettendole di avvolgermi con le sue braccia forti e robuste.
<<Com'è andato il viaggio?>>
<<Bene, grazie>>
Rispondo sciogliendomi dall'abbraccio.
<<In un anno sei cambiato moltissimo diventando quasi come un uomo>> 
Afferma guardandomi con occhi carichi di affetto che riescono a sciogliere un po' del ghiaccio che mi porto dentro.
<<Grazie>> è l'unica cosa che riesco a dire prima di allontanarmi dalla sua figura radiosa.
<<Margaret è veramente una bella donna che merita di essere chiamata mamma>> 
Dice convinta Micòl mentre saliamo le numerose scale in marmo bianco che conducono alle nostre stanze. Non le rispondo e né faccio cenno di averla sentita mentre accelero il passo, sapendo già che aprirà un discorso che non ho intenzione di affrontare.
<<Ci vediamo a pranzo>>
Dico laconico prima di chiudermi nella mia stanza facendo scorrere lo sguardo dall'alto soffitto bianco alle pareti grigio perla, prive di qualsiasi decorazione; percorro, poi, il pavimento lucido per raggiungere le ampie vetrate della mia stanza e afferrando la manovella apro le tende bianche della mia camera rivelando un ampio giardino rigoglioso e ben curato. Ritorno quindi alla mia piccola valigia che poso a terra e in modo metodico e preciso mi metto a sistemare le mie cose prima di soffermarmi sulla mia figura alta e in formabriflessa sullo specchio. È vero nell'ultimo anno sono cambiato: i miei capelli biondo cenere sono leggermente più folti, i miei occhi cerulei sono meno vivaci di quando sono partito, più stanchi oserei dire e i miei lineamenti si sono fatti più duri. Non volendo più osservare la mia figura allo specchio mi sdraio a peso morto sul letto. Senza rendermene conto sprofondo in un sonno profondo, ma senza sogni. Vengo risvegliato dal lieve bussare alla porta e, dopo aver fatto mente locale, copro la distanza che mi separa dalla porta con poche falcate.
<<Non scendevi e quindi ho pensato di venirti a chiamare>>
Mi dice Micòl rivolgendomi i suoi dolci occhi verdi che un tempo sono stati il mio porto sicuro, prima che la nostra infanzia finisse. Mi riprendo dal mio stato di trance e annuisco notando che si è cambiata indossando dei pantaloncini bianchi eleganti e una camicia azzurra che fascia perfettamente il suo corpo snello. Ci dirigiamo allora nell'ampia sala da pranzo illuminata dalla grande vetrata e non appena mi siedo, i domestici iniziano a servirci il pranzo. Ho sempre pensato che tutta questa gente che lavora per noi non sia necessaria, ma mia madre e mio padre preferiscono che ci siano perché secondo loro permettono di risparmiare molto tempo che altrimenti andrebbe sprecato in cucina.
<<Allora, non avrete problemi con la scuola visto che ho già parlato con il preside e verrete reintegrati come se niente fosse. Fino a quando non inizierà la scuola potrete godervi l'estate con i vostri amici, ma ovviamente ritagliate un po' di tempo per gli studi, perché io e vostro padre ci aspettiamo il massimo da voi.>> 
E con questo mia madre si zittisce lasciando che l'unico rumore presente nella sala sia quello provocato dalle posate a contatto con i piatti.

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