CAPITOLO 32

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COLE'S POV
Appena mi sono allontanato di diversi metri da casa sua, parcheggio in una rientranza della strada spegnendo la macchina. Mi afferro i capelli tra le mani e inizio a respirare profondamente.
Com'è stato possibile che con una semplice domanda stavo per crollare, stavo per buttare giù tutti i muri costruiti nel tempo e questo perché nella voce di lei c'era un tono realmente preoccupato, cosa che nella mia vita non  succedeva da un po' se non per mia sorella per la quale devo mostrarmi forte e senza debolezze in modo tale da essere per lei una roccia e non un peso ulteriore. Ero tanto così dal rivelarle che nella mia vita stava tutto crollando da tempo e che io, giorno dopo giorno, stavo perdendo le redini della mia mente. Dopo diversi minuti e profondi respiri, riaccendo il motore e riparto spedito in modo tale da evitare di arrivare dopo i miei genitori. Una volta davanti casa apro la porta ritrovandosi davanti Micòl, che si è cambiata e indossa abiti eleganti.
<<Era ora, per come  guidi mi aspettavo che saresti tornato in tre secondi e invece...>>
Poi, dopo avermi guardato meglio, continua
<<Che è successo?>>
Corruccio il viso confuso, non capendo a cosa si stia riferendo.
<<Cosa deve essere successo? Senti devo cambiarmi prima che tornino i nostri genitori>>
Dico passandole accanto superandola.
<<Sai che non sono stupida e che non mi si può nascondere nulla a meno che io non voglia>>
<<Per questo assomigli a nostro padre>>
<<Sai che bellezza>>
Risponde in tono amaro sempre ferma davanti alla porta con le mani incrociate.
<<Ho visto una luce diversa in te, anche se è durata pochissimo, quando lei era qui e se sarà lei ad aiutarti a trovare il coraggio di uscire dal luogo oscuro dove nostro padre ci ha portati, allora lotta per lei>>
Mi giro di scatto e in un impeto di mancanza di autocontrollo le dico:
<<Senti, non credo tu ci veda nulla. Sono sempre lo stesso e di lei non mi importa nulla. Ci hai visti insieme una volta e già fantastichi, il che non è normale e poi ho te e mi basti e non ho intenzione di coinvolgere nessun'altro in questa merda che è la mia vita>>
Detto questo mi giro di scatto e, senza attendere una risposta, salgo a due a due le scale fino a raggiungere la mia stanza, dove inizio a cercare dei vestiti decenti per non sentire le critiche di nostro padre. Il tempo di cambiarmi e la voce di Margaret mi avverte dell'arrivo dei nostri genitori. Apro di scatto la porta e mi ritrovo davanti una Margaret leggermente sorpresa dal mio stato, ma per mia fortuna non fa domande. Appena raggiungo il corridoio al piano inferiore sento le voci dei miei genitori che provengono dalla sala e dopo un respiro profondo entro.
<<Ciao Cole>>
Mi saluta mio padre mentre mia madre rimane in silenzio, indifferente del mio arrivo. Mi siedo  stanco sulla sedia e rimango in silenzio mentre nostro padre inizia a parlare di qualcosa a cui però non presto attenzione.
<<Cole, suonaci qualcosa>>
Mi ordina mia madre rivolgendomi la parola per la prima volta nella giornata. Mi alzo senza proferire parola, sotto lo sguardo attento di mia sorella che deve aver avvertito che c'è qualcosa che non va. Quando mi siedo sullo sgabello e ho sistemato il piano, decido di suonare la sonata numero cinque di Beethoven, nonostante non sia una delle canzoni migliori per rilassarsi, ma è il mio modo per ricordarmi che ho il controllo dei miei gesti, di tutto.
<<Non potresti suonare un qualcosa di più leggero?>>
Mi canzona mia madre che ottiene un
<<Lascialo stare>>
Da parte di mia sorella, grazie alla quale ho la possibilità di suonare un pezzo per me e non per mia madre. Una volta che ho finito, nostro padre e nostra madre si congedano e una volta soli, mi alzo dallo sgabello seguito a ruota da mia sorella  che mi raggiunge per poi  stringermi tra le sue braccia.
<<Stai iniziando a crollare e quando lo farai sarà una grande esplosione che lascerà feriti sia me che te e ti consiglio di iniziare ad aprirti e non sfogarti sulla musica, sullo sport e sui libri. Non è questa la soluzione, parla>>
Detto ciò, con sguardo basso, si allontana anche lei. Lascio scorrere un po' di tempo per permetterle di chiudersi in camera prima di ritrovarmi a sparecchiare il tavolo, nonostante ciò che è successo diversi anni fa e che io avevo ritenuto normale, vista la mia giovane età e l'aver vissuto con persone che comunque avevano questo stesso atteggiamento.

OTTO ANNI PRIMA
<<Ciao Margaret>>
<<Ciao piccolo >>
Mi saluta Margaret accarezzando la mia chioma tutta in disordine.
<<Come è andata a scuola?>>
<<Male, sono tutti viziati lì>>
Rispondo sbuffando e lasciando lo zaino a terra per seguirla in cucina.
<<Lo so piccolo, ma tu promettimi che non diventerai mai come loro>>
<<Mai>>
Le prometto regalandole il mio sorriso più grande. Ultimamente i nostri genitori sono fuori per lavoro o per qualcosa di cui non sono a conoscenza e l'unica figura materna che abbiamo è Margaret che, da come si comporta, sembra amarci come suoi figli.
<<Vieni aiutami a portare i piatti a tavola, così prepariamo il pranzo. Prima lavati le mani però>>
Quando ho fatto tutto quello che mi ha detto di fare, veniamo raggiunti da Micòl, che si è cambiata indossando il suo abito da principessa preferito.
<<Guarda quanto sono bella>>
Mi dice facendo la gira volta.
<<Bellissima e io sono il tuo cavaliere>>
Dico mentre iniziamo a girare intorno.
Una volta finito di apparecchiare la tavola e aiutato Margaret a cucinare ci mettiamo seduti in attesa dell'arrivo dei nostri genitori che arrivano poco dopo.
<<Papà, papà>>
Esclama Micòl andando ad abbracciare nostro padre che l'accoglie con un sorriso allegro in volto.
<<Sai che abbiamo apparecchiato noi la tavola e aiutato Margaret a cucinare?>>
<<Davvero?>>
Esclama sorpreso con un'ombra strana che gli cala in volto.
<<Sì, sì>>
Annuisce Micòl invitandomi a sostenerla
<<Sì ed è stato bellissimo>>
Rincaro la dose portando mia madre ad accarezzarmi i capelli soddisfatta.
<<E bravi i miei bambini, non è vero Elia?>>
<<Molto>>
Detto ciò ci sediamo a tavola e iniziamo a magiare parlando allegramente. Alla fine del pranzo, quando Margaret insieme a un'altra domestica iniziano a sparecchiare, mio padre fa cadere un piatto a terra lasciando di stucco me e gli altri.
<<Ci penso io>>
Dico alzandomi dalla sedia.
<<Fermo Cole. Ho assunto delle domestiche affinché facciano il loro lavoro e non perché costringano i miei figli a farlo al posto loro>>
Corruccio la fronte non capendo a cosa si stia riferendo. Nel mentre mio padre getta tutti i piatti a terra e una volta in piedi afferma, con il suo tono pacato
<<Non osare mai più coinvolgere i miei figli in queste attività così basse e voi due non state troppo vicini ai domestici. Capito?>>
Intimoriti da questa sua reazione insolita io e mia sorella annuiamo rimanendo congelati sul nostro posto.
<<È meglio se andate a dormire bambini>>
Ci invita nostra madre guidandoci fuori dalla stanza, lontani da nostro padre.

PRESENTE
Forse erano questi i primi segnali di chi è  realmente nostro padre ed io non ero stato in grado di interpretarli, almeno non a pieno. Penso mentre mi chiudo nella mia stanza abbandonandomi al silenzio angosciante della stanza.

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