Capitolo 73

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La Førerløs bil arrivò a destinazione.

Erik e Rolf scesero dall'autovettura e poggiarono i piedi sulla neve sporca.

I poliziotti dovevano aver spalato quasi tutta la neve davanti la centrale perché quello che rimaneva di quella soffice precipitazione erano solo cumuli sporchi di fango ai lati della strada e qualche segno di pneumatico sul vialetto.

Il cielo era nero e la luna era dormiente rendendo l'atmosfera ancora più cupa. In pochi secondi si alzò il vento che fece diventare subito rossi i nasi dei due uomini.

Erik cercò di ripararsi il collo e le orecchie con il giubbotto, aveva dimenticato nell'appartamento sia la sciarpa che il berretto. Per la troppa fretta aveva lasciato accanto all'appendiabiti anche i guanti.

Rolf, al contrario, sembrava a suo agio. Il clima freddo e secco sembrava non toccarlo.

«Dobbiamo entrare» disse poi il ragazzo portandosi le mani sulla bocca e alitandogli sopra per scaldarle.

«Andiamo allora» lo spronò l'esperto facendo il primo passo in avanti.

«Non parlare con nessuno del libro che è a casa mia» gli ordinò Erik.

Rolf Bakke si fermò e si girò verso il ragazzo.

Annuì.

Il ragazzo si avvicinò all'uomo e insieme presero il vialetto creato in mezzo alla neve che conduceva alla porta d'ingresso.

Il commissariato si trovava accanto alla stazione centrale di Oslo, la Oslo Sentralstasjon. La stazione era illuminata da lampioni dalla luce fioca che sarebbe aumentata d'intensità al passaggio di qualcuno.

Il palazzo era color panna con dei dettagli marroni e costruito su tre piano. Quasi tutte le luci erano spente ad esclusione di due che illuminavano due finestre al pian terreno. La struttura era di stampo neoclassico con le finestre a volta e le colonne dell'ingresso erano adornate da capitelli corinzi. La struttura era sprovvista di timpani ma i volumi chiari ben definiti e simmetrici incutevano timore ricordando il rigore usato nell'antichità che riportava alla mente il ruolo delle autorità: ligie a far rispettare le regole.

Ma Oslo non era il tipo di città dove i senzatetto vagavano per la stazione in cerca di qualche grammo di chissà quale droga. I barboni non esistevano in Norvegia: se qualcuno veniva trovato a vagabondare, veniva arrestato in quanto illegale.

Erik trovava quella legge assurda ma era un buon modo per tenere la città pulita, diminuire la criminalità e dare un tetto e un pasto caldo a coloro che non avevano niente, anche se si trattava di starsene dietro le sbarre.

Rolf Bakke fu il primo ad arrivare all'ingresso mentre Erik fu subito dietro di lui.

Si avvicinò e premette il campanello.

Un suono disturbato e metallico riempì il silenzio della notte, poi una voce iniziò a parlare da uno altoparlante arrugginito proprio davanti a loro.

«Polizia, sono l'agente Sund. Allontanatevi di cinque passi e identificatevi.»

Sia Rolf che Erik obbedirono al comando.

Camminarono all'indietro e contarono mentalmente, poi si fermarono nello stesso punto, uno accanto all'altro.

«Buonasera, mi chiamo Erik Harris. Sono stato convocato circa un'ora fa da un suo collega.»

«Io sono Rolf Bakke. Sono il suo accompagnatore.»

Erik si girò a guardare l'uomo perplesso da quell'affermazione. I baffi si erano congelati ed erano ricoperti di brina.

«Venite avanti» disse poi l'agente spegnendol'altoparlante e aprendo la porta davanti a loro con ronzio.

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