Capitolo 12

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Febbraio era alle porte, il freddo iniziava a diminuire ed Erik avrebbe potuto giurare di aver sentito qualche canarino cantare di tanto in tanto e quell'idea lo metteva di buon umore. Il giorno prima aveva avvisato Katie della sua imminente partenza: lei era stata felicissima mentre Erik si sarebbe aspettato una scenata con tanto di "mi stai lasciando in braghe di tela" da parte di lei, invece gli aveva augurato buon viaggio e gli aveva raccomandato di divertirsi e riposarsi che la Future Library non sarebbe di certo scappata. Era sicura che a marzo, dopo l'inaugurazione il lavoro da fare sarebbe aumentato a dismisura quindi le sembrava giusto dare un po' di tregua ai suoi Voktere prima che iniziasse la tempesta.
«Quanto ti fermi in Texas?» gli aveva chiesto lei.
«Ancora non lo so.»
«Capisco...»
«Se per te è un problema, rientrerò settimana prossima» continuò Erik sperando in una risposta negativa.
«Non ti preoccupare, l'importante è che tu sia al lavoro il giorno dell'inaugurazione» concluse poi Katie aprendo la bocca in un sorriso a trentadue denti.
Erik annuì cercando di contare mentalmente quanti giorni aveva a disposizione prima di dover affrontare realmente il problema: rimanevano ventinove giorni prima dell'inizio di marzo.

*

Erik stava preparando i bagagli nascondendo delle banconote tra un maglioncino e i boxer. L'aria di casa era viziata, quel giorno non aveva nemmeno aperto le persiane, e tutto era molto silenzioso, nemmeno i vicini sembravano essere in casa: nessuno scricchiolio, nessun vociare, nessun rumore esterno. La cosa pareva sospetta, ma Erik cercò di non farsi fregare dalla paranoia in modo da evitare che l'ansia lo ingoiasse con tutte le scarpe, in fondo erano Rune e lui che aveva un segreto da custodire e un problema da risolvere, non di certo gli altri.
Il Verge aveva infilato in valigia tutti gli indumenti più caldi che aveva perché le temperature rigide del nord non gli avrebbero lasciato in minimo margine d'errore. Sapeva che se non si fosse coperto per bene, sarebbe diventato cibo per orsi polari.
L'uomo era perso nei suoi pensieri e stava cercando di depennare la sua lista mentale di cose da portare quando qualcuno suonò alla porta interrompendo la quiete. Erik si diresse verso l'entrata e quando girò il pomello per far entrare il suo ospite, Rune si precipitò in casa sbattendo la porta addosso al collega che perse l'equilibrio e finì con il sedere per terra.
«Ma che ti prende?» gli chiese Erik un po' stordito per la botta.
«Sicuro che non ti debba accompagnare?»
Rune aveva la fronte imperlata di sudore a causa dell'agitazione, non emanava nemmeno un buon odore, constatò Erik, ma che rimase in silenzio per gentilezza.
«Adesso smettila!» comandò il verge più giovane tirando fuori gli artigli per la prima volta. «Ci hanno rubato un libro ed è colpa di entrambi, ma se non collabori, saremo costretti a confessare e a perdere il lavoro.»
Rune abbassò lo sguardo e si coprì gli occhi con i pugni.
«Vedrai che troverò una copia del libro» continuò Erik avvicinandosi al collega per mettergli una mano sulla spalla e farlo rilassare. «Non essere così...» avrebbe voluto definirlo insopportabile ma si limitò a dire: «malinconico.»
«Se non dovessi trovare il libro?»
«Perché non ne scrivi uno tu?» gli chiese Erik convinto che una distrazione gli avrebbe fatto bene.
«Io?» chiese il verge raddrizzandosi e tirando il petto in fuori.
«Manca ancora un mese all'inaugurazione, scrivi un libro con la stessa trama de La Ballata della Morte. Non deve essere uguale ma deve almeno lontanamente assomigliargli.»
«E con il colpevole cosa facciamo?» chiese Rune dopo che Erik gli aveva parlato di un ipotetico piano B.
«La verità viene sempre a galla, con o senza libro. La giustizia lo prenderà anche se non dovessi recuperare la copia dello scritto.»
«Sono scettico.»
«Fidiamoci del karma, ogni tanto» concluse Erik facendogli l'occhiolino.

*

Il volo per Longyearbyen, la città più a nord del mondo, era decollato dall'aeroporto di Oslo alle dieci del mattino ed era atterrato all'una, dopo un volo di quasi tre ore.
Erik era stato tra i primi a scendere dall'aereo precipitandosi verso l'uscita dell'aeroporto il più in fretta possibile, portandosi appresso il suo bagaglio a mano chiuso preventivamente con una combinazione numerica a lato della maniglia. Fuori dalla struttura di aviazione, Erik trovò un signore che teneva tra le mani un cartello con il suo nome: l'uomo era alto e robusto, portava un berretto nero abbinato ai folti baffi sul volto mentre gli scarponi da neve marroni si abbinavano al resto del vestiario dai colori mimetici.
L'aria gelida di Longyearbyen tagliava il volto di Erik che si sistemò la sciarpa di pile sul viso fino a coprire il naso e si abbassò il cappello per riparare le orecchie. Poi, si infilò dei guanti termici per tenere le mani al caldo per evitare che le temperature gli ghiacciassero le dita fino a farle diventare blu.
«Buongiorno, sono Erik» disse il ragazzo avvicinandosi all'uomo chiedendosi come facesse a non avere le stalattiti sotto al naso.
«Mi chiamo Jørgen. Andiamo» rispose l'uomo facendogli un cenno con la testa per indicargli la direzione.
La motoslitta era parcheggiata a qualche metro di distanza ma che sembrarono chilometri per Erik. Il freddo era troppo rigido e i suoi movimenti erano piuttosto rallentati. Il signor Jørgen prese la valigia del passeggero e la legò saldamente al mezzo, poi porse ad Erik un'altra giacca, sicuro che lui l'avrebbe apprezzata.
«Il viaggio è breve per arrivare al porto, ma l'aria in motoslitta è ancora più fredda» gli assicurò l'autista.
Il giovane Verge non se lo fece ripetere due volte, indossò l'indumento che gli era stato offerto e salì a cavalcioni del veicolo che solcava neve e ghiaccio.

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