luckymikey

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Autrice: luckymikey

Il funerale, secondo Jane, durò poco rispetto agli altri a cui aveva assistito. Tutti furono gentili, le fecero le condoglianze per la morte del suo adorato marito. Lei si limitava a ringraziare, non trovando altre parole per dare sfogo al suo dolore.

Si chiamava Sean e aveva solo quarant'anni. Jane era molto forte e riuscì ad accettare quella perdita, ma non il fatto che non era stato portato via da una malattia, né da un incidente, né da un altro evento del genere, ma da un suicidio.

Sean si era tolto la vita con un colpo di pistola, appena una settimana prima, dopo un mese esatto dalla morte di Paul, unico figlio dei coniugi.

Il piccolo, di appena sette anni, era stato investito da un pirata della strada durante una buia notte autunnale.

Jane era stata distrutta da quell'evento e Sean, se possibile, ancora di più. Non era riuscito a darsi pace durante quel mese, tanto era sconvolto. Aveva gli incubi, mangiava poco, usciva di casa raramente e se lo faceva era per andare a lavoro.

Tutto questo andò avanti fino a quel tragico giorno n cui Jane lo trovò a casa loro, senza vita, disteso sul tappeto in salotto.

Ed era proprio lì che la donna si trovava.

Fissava il punto esatto dove giaceva il corpo pallido ed esanime del marito e cercava disperatamente di non piangere, ma era una sfida troppo dura e non riuscì a vincerla. Le ginocchia le cedettero e si accasciò a terra, portandosi le ginocchia al petto e appoggiando la schiena al divano.

"Se ne sono andati, mi hanno lasciata sola", pensò.

Capiva che non poteva riaverli, capiva che l'evento era definitivo e non si poteva tornare indietro, ma suo marito e suo figlio le mancavano così tanto, le mancavano più dell'aria.

Le lacrime le uscivano copiosamente dagli occhi, senza accennare a fermarsi, anzi, sembravano aumentare. I suoi singhiozzi silenziosi si trasformarono presto in singulti più forti e poi in urla di disperazione. Jane urlava e urlava, nella speranza di far uscire, insieme alla sua voce, tutto il dolore che aveva dentro. Si ritrovò a sbattere i pugni sul parquet, tanto era disperata.

Dopo un tempo che le sembrò infinito, si lasciò scivolare giù, in posizione fetale, con la testa sul pavimento. Il silenzio che la avvolgeva era assordante e le sembrava che le sue stesse urla le riecheggiassero fin dentro alle ossa.

In quella posizione, poteva scorgere diversi granelli e grumi di polvere sotto al grande divano. Scorse, inoltre, una cosa sottile e chiara, simile alla carta. Allungò la mano e lo prese, accorgendosi che in effetti era un foglio ripiegato. Sopra c'era scritto:

"Per Jane"

Le vennero i brividi non appena si accorse che era la scrittura di suo marito.

Prese un bel respiro e aprì il foglio, per poi iniziare a leggere.

"Amore mio,

scusa se me ne sono andato, scusa se ti ho lasciata sola, ma non ce l'ho fatta.
Era troppo dura per me affrontare ogni giorno con la consapevolezza che no avrei più rivisto gli occhi azzurri di Paul, che non avrei più sentito la sua piccola risata, la sua voce innocente. Non ce la facevo ad alzarmi dal letto la mattina sapendo che non avrei potuto vederlo mai più.

Sono stato un codardo e me ne assumo ogni responsabilità. Non avrei dovuto abbandonarti così, ma sono sicuro che, se vorrai, potrai trovare una persona mille volte meglio di me.

Una persona che riesce a sopportare il dolore e non scappa via.
Una persona che non uccide il suo stesso figlio.

Sì, esatto. Sono stato io, Jane.

C'ero io sul pick up che ha investito ed ucciso il nostro piccolo e non potevo sopportare l'idea di vivere con questa consapevolezza, di continuare a respirare quando mio figlio non poteva più.

Era buio, pioveva, la strada era scivolosa. Ho frenato appena ho potuto, ma avevo bevuto troppo e i miei riflessi erano quelli che erano e l'ho preso in pieno.

Mi mancava tantissimo, sai? Forse anche più di quanto mancasse a te.

Ho sempre desiderato diventare padre e finalmente ce l'avevo fatta. Paul era meraviglioso, non avrei potuto chiedere di meglio.

Rendeva entrambi così felici... e io ce l'ho portato via.

Non ti chiedo di perdonarmi perché so che sarebbe impossibile, ma ti chiedo un'altra cosa: non arrenderti, continua a vivere la tua vita e soprattutto trova la forza di andare avanti ed essere di nuovo felice.

Tuo per sempre,

Sean."

Una lacrima cadde sul foglio, bagnandolo e facendo sbiadire l'inchiostro.

Jane non poteva credere ai suoi occhi, tant'è che rilesse la lettera un paio di volte, nella speranza di aver letto male, ma poi non poté negare l'evidenza.

Suo marito aveva ucciso suo figlio.

Perse un battito quando ripensò alle parole di Sean: "Ho sempre desiderato diventare padre".

La donna si sentì un peso schiacciarle il petto, quasi fino a mozzarle il respiro. Se era grave il fatto che Sean le avesse tenuto nascosto di essere l'assassino di Paul per un mese, era ancora più grave quello che aveva omesso lei, per sette anni per giunta.

Sean si era tolto perché pensava di aver ucciso suo figlio e si sentiva troppo in colpa, ma non sapeva che in realtà tra lui e il bambino non c'era alcun legame di sangue.

Ecco cosa aveva nascosto Jane a Sean: un tradimento.

Paul era figlio del fratello di Sean, non di quest'ultimo. L'unico motivo per cui nessuno dei loro familiari se n'era accorto era che i due fratelli si assomigliavano molto.

Jane era a dir poco devastata.

Solo un mese prima aveva perso suo figlio e poco dopo anche il marito.
Ma la cosa peggiore era che Sean si era ucciso con la convinzione di aver tolto la vita al proprio figlio e, dal momento che così non era, l'uomo era morto invano.

Accecata dal dolore, dalla sofferenza, Jane non poté far altro che incolparsi di tutto.

Se non avesse tradito il marito il bambino non ci sarebbe stato e lui sarebbe lì con lei, oppure, se avesse detto a Sean del tradimento, lui non si sarebbe suicidato.

I sensi di colpa, però, la tormentarono solo per poco, perché poi capì che non c'era motivo di incolparsi di eventi accaduti indipendentemente dalla sua volontà. E poi, non aveva più nessuno al suo fianco, nessuno che amasse e non aveva nulla da perdere.

Mossa da una forza mai provata prima, Jane si alzò dal pavimento e si asciugò le lacrime. Salì velocemente al piano di sopra e prese una cravatta dal cassetto di Sean. Dopo aver fatto il nodo, montò su una sedia e legò l'altra estremità della cravatta al lampadario.

Gli unici due che aveva mai amato non c'erano più, ma erano in un posto migliore e lei voleva raggiungerli.

-Non preoccupatevi, sto arrivando.- disse.

E saltò.

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