MammaesmeSalvatore

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Autrice: MammaesmeSalvatore

Dondolava tra passato e futuro appesa al filo dei rimpianti.

Come ogni mattina si era svegliata all'alba. Si era alzata e aveva ripetuto i gesti quotidiani automaticamente.

Aprendo la finestra aveva trovato un cielo uggioso come il suo umore.

Il tempo di infilarsi una tuta, preparare la colazione per tutti e la giornata aveva preso la solita piega.

Una giornata come tante, uguale a tante.

Non poteva lamentarsi, non ne aveva il diritto.

Odiava identificarsi con quelle donne che avevano sempre un lamento, un'insoddisfazione costante.

La vita era stata gentile con lei: non le aveva inflitto ferite profonde e aveva realizzato anche qualcuno dei suoi desideri.

Il tempo e le piccole delusioni, però, avevano scarnato la sua anima come gocce di acido.

Bruciavano, all'inizio, poi si era assuefatta e non si era accorta di quanto la stessero consumando.

Non ricordava bene quando il suo declino era cominciato ma, quella mattina, il riflesso nello specchio le aveva rimandato un'immagine talmente spenta che a stento si era riconosciuta.

Si era seduta sul water chiuso e aveva affondato la testa tra le mani.

Il tempo passava senza lasciare traccia, se non sulla sua pelle: non distingueva più i giorni, i mesi e cominciava a confondere gli anni.

Prima aveva delle macchie di colore a far risaltare un momento speciale da un'infinita serie di minuti grigi e, quel momento identificava un giorno, marchiava un mese, distingueva un anno in mezzo a tanti.

Poteva essere un viaggio, una vacanza, la nascita di un figlio, il matrimonio, il primo bacio, attimi indelebili. E quegli attimi mettevano in moto la speranza.

Forse aveva confuso aspettative e speranza.

Quel giorno si era resa conto di non avere aspettative e, senza quelle, non aveva nulla in cui sperare.

La speranza ha bisogno di tempo per essere coltivata, per crescere e fiorire.

Lei quel tempo lo vedeva accorciarsi: oramai ne aveva sicuramente più alle spalle che davanti a lei.

Ne era conscia.

Ma, quella mattina, la consapevolezza le aveva tolto il respiro.

In cosa poteva sperare?

Salute? Tranquillità? Un po' di pace?

Non era ancora morta, cazzo!

Certo, poteva ancora barattare speranza con illusione.

Poteva ancora immaginare ... già, immaginare, ma realizzare?

I progetti si erano tramutati in utopia, il rimandare a data da destinarsi un capolinea.

Quando furono tutti fuori casa, il buio di un futuro già stabilito le si era rovesciato addosso come un secchio di pece bollente.

Corse in camera e spalancò le finestre per prendere aria.

Era anche cominciato a piovere.

Odiava le giornate uggiose, senza la speranza di un raggio di sole: il sapore del freddo che attanaglia i pensieri, l'umido che penetra nella pelle e addormenta l'anima.

Con un tempo del genere le veniva voglia di letargo, di chiudere gli occhi e svegliarsi a primavera. La luce grigia del cielo plumbeo le rendeva le palpebre pesanti, le opacizzava la vista.

Si voltò a guardare il letto disfatto, la polvere sulle mensole, e le venne da vomitare.

Si sentì afferrare l'anima da due istinti, tanto forti e opposti da sentire il rumore dello strappo quando il sottile velo dentro di lei si lacerò.

Da una parte la voglia di cedere al richiamo di quel talamo, di lasciarsi spegnere del tutto, di ibernarsi anelando un sole tropicale, di addormentarsi sognando una nuova speranza per svegliarsi ancora.

Dall'altra il desiderio di fuggire da tutto.

Dal comodino una foto la guardò dritta nel cuore.

La prese in mano con un sospiro.

Suo marito, i suoi figli, un respiro.

Forse non era più il tempo della speranza.

Magari sarebbe bastato vivere, senza aver paura di essere felice.

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