Raindrops91

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Autrice: Raindrops91

"Il treno ha un'ora di ritardo."
I binari brulicavano di entità impegnate a lamentarsi per quella notizia, ma non Lui. Lui se ne stava lì, impassibile. Teneva le mani in tasca, e un borsone gli pendeva dalla spalla. Dentro, non ci aveva messo nulla. Dove stava andando non aveva bisogno di effetti personali. Il borsone serviva a conservare le apparenze, fingendo che fosse tutto normale; ma non avrebbe mai potuto esserlo: quel giorno, sulle rotaie, avrebbe lasciato la sua vita. E la prospettiva non gli dispiaceva.
Si era appena infilato fra la gente per carpire un'ultima emozione, quando vide Lei, sotto il sole del mattino. Vide le sue gambe bianche spuntare da sotto una gonna color cipria, che un vento sottile si ostinava a sollevare. Doveva avere trent'anni. Incrociava le braccia sul seno, fissando le persone del binario di fronte, come se fossero uno specchio incapace di restituirle un riflesso.
Gli venne voglia di avvicinarsi a Lei, a quella musa stoccata nel panorama fumoso di una stazione. Ed era stupido farlo adesso che tutto era deciso; eppure non poteva fare a meno di assecondare quel capriccio puerile.
L'agganciò con una scusa banale. "Ha da accendere?" benché fosse lampante che non fumasse. Le persone che non fumano ce l'hanno scritto in faccia: le avvolge una sensazione di pulito, a guardarle, che i fumatori non possiedono.
Lei si voltò, e i suoi capelli ramati si aprirono all'aria, rilucendo.
"No, mi spiace" cercò d'intrappolarli dietro le orecchie.
"Le andrebbe di mangiare qualcosa?"
"... Ho un fidanzato" si morse le labbra.
"Mi scuso per il suo fidanzato, ma desidero solo mangiare in compagnia. Che ne dice?"

Chiacchierarono. E parlare con Lei era piacevole. Non si erano mai visti prima di allora, ma con alcuni estranei si può trovare una familiarità istintiva, un legame che non si proverebbe con altri estranei. Scoprirono di appartenere ad una razza antica: a quelli vissuti negli anni novanta e affezionati alla musica degli anni settanta. Innamorati dell'andazzo dei treni, piuttosto che della celerità degli aerei. Dei nokia al posto degli iphones. Quelli che scrivono email e le chiamano "lettere".
Erano seduti al bar accanto alla stazione. Lei rideva coi gomiti puntati sul tavolino.
"Ha un bel sorriso. Com'è che non ride spesso?" E restò stupita da come Lui aveva posto quella domanda. In genere si chiede: "Perché non ridi mai?" e Lei detestava la critica che nascondeva, come se non sorridere fosse una colpa, e il grado di felicità di qualcuno si captasse dal grado di estensione di un sorriso.
"... Aspettavo un bambino, ma..." non terminò la frase. Si abbracciò e sorrise forzatamente: sono le gioie più ostentate a celare le più grandi sofferenze.
Una lacrima le scivolò lungo il collo e bagnò la sua camicetta bianca, decorata da fiorellini primaverili. E sapevano entrambi cosa volesse dire quella perla salata: la cosa peggiore di tutte è la nostalgia, ma peggio ancora è la nostalgia di ciò che non hai potuto avere; di ciò in cui hai sperato ardentemente, per poi vedere quell'idea ridursi in cenere.
Lui accarezzò la sua guancia umida. Sussurrò con voce strozzata:
"Ho sperato troppo anch'io." E Lei raccolse la sua mano nel suo palmo, per sentirne la pelle, e ascoltare il battito del suo cuore echeggiare nelle vene.
Fecero l'amore nei bagni squallidi di quella stazione. Schiacciandosi a ridosso delle piastrelle. Desiderando che quell'ora non finisse, e che il momento di partire si bloccasse con un bacio.

Quando ritornarono al binario, delegarono a un abbraccio il loro addio. Lei salì sul treno, e Lui lascio la stazione, senza morire.

È possibile sperare.

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