Autrice: andri98, in bocca al lupo!
L'ho visto nell'autobus verso l'università. Stava appoggiato alla porta, con lo sguardo rivolto da qualche parte.
Ricordo di aver avuto uno strano sentimento di dejá-vu - come se già avessi vissuto questo momento - io, guardandolo di nascosto, lui, fingendo di non vedermi. Finché, all'improvviso, posa gli occhi su di me risvegliandomi dalla trance, per poi essere innondata da una sensazione strana di famigliarità e allo stesso tempo di disagio.
Dopo pochi istanti, che mi sono sembrati un'eternità, mi sorride porgendomi la mano:
"Credo che siamo nella stessa classe, vero? Sono Stefano, piacere".
Rispondo cercando di sembrare sicura di me e un po' indifferente:
"Rebecca".
Ero al primo anno all'università di Scienze Politiche a Milano. Sognavo di fare Psicologia perché ero affascinata dalla complessità dell'uomo, ma mio padre, un medico, mi ha convinta che era meglio scegliere una carriera interessante invece di stare con "dei matti" in un ospedale.
È stato difficile non notare Stefano dopo il nostro incontro nell'autobus; uno studente modello, un grande amante della filosofia e della storia. D'altronde era anche un bel ragazzo, alto, con un'aria intelletuale e uno sguardo un po' malinconico che lo rendeva irresistibile per le ragazze della nostra classe, e non solo. Stefano, spesso riservato, era serio e molto maturo per i nostri 19 anni di allora. Gli altri ragazzi lo invidiavano mentre le ragazze erano segretamente innamorate di lui.
A quei tempi, nonostante fossi felicemente fidanzata con il mio ragazzo del liceo, anche io ero innamorata di Stefano.
Luca era con un anno più grande di me ed avevamo appena concluso un anno di sofferenza, lui a Milano con l'università mentre io a Roma dove finii l'ultimo anno di liceo.La mia tranquillità giornaliera fu sbilanciata quando, due mesi dopo l'episodio nell'autobus, Stefano mi ha invitata ad uscire. A malavoglia, cercando di non far fuoriuscire il mio "sì" dalla bocca, gli spiegai gentilmente di avere un ragazzo che amo tanto. Ho notato la sua delusione negli occhi, ma poi mi ha sorriso dicendomi che non è un problema e non devo preoccuparmi.
In fine si girò di scatto e da quel momento per i prossimi due anni mi ignorò completamente.Di nuovo ottobre, due anni dopo. L'amore adolescenziale con Luca finì.
Stefano, che nel frattempo anche lui ha avuto qualche relazione, è riapparso nella mia vita. Non so come, ma abbiamo iniziato a sentirci spesso, uscire insieme e stare fino a tarda notte nei bar che chiudevano molto tardi. Sinceramente, anche se eravamo dei clienti fedeli, non credo ci amassero molto i proprietari che tornavano a casa sempre dopo le cinque del mattino. Noi invece ci amavamo troppo e non c'importava se venivamo cacciati fuori minimo cinque volte a settimana o che la mattina mi svegliavo con due occhi gonfi per il sonno.
Finalmente avevo il mio lavoro dei sogni e una persona accanto con cui condividere la mia vita, forse per sempre.
L'anno successivo è stato un ballo, anche nel vero senso della parola. Molteplici son state le state le notti in cui ballavamo nel mio piccolo appartamento alle quattro del mattino.
Imparavamo insieme.
Leggevamo insieme.
Sognavamo insieme.
I nostri corpi e cuori vibravano all'unisono e il sentimento di dejá-vu nell'autobus è riapparso quest'anno.
Nel terzo anno all'università pianificavamo il nostro futuro. Avevamo grandi ambizioni. Un Master all'università London School of Economics.
Stefano ha avuto l'idea di iscriverci a due scuole estive internazionali con il fine di ricevere crediti e raccomandazioni per il Master al quale miravamo. Lui è stato, un anno prima, a una scuola in Vienna; gli era piaciuta molto. Mi ha incoraggiata di iscrivermi e mi hanno accettata. Stefano, intanto, fu accettato a sua volta all'università di Londra. Sei settimane separati dopo quasi un anno vissuto in simbiosi.
Mi ricordo del verde della vale vicino Salzburg. La foresta. Il lago. Il campeggio di Stroebl sembrava situato in un angolo del paradiso; casette piccole, moderne. Sorrisi. Conversazioni in inglese, francese, tedesco. Non sentivo niente se non la mancanza e il desiderio di stare con Stefano.
Le mail che ci mandavamo giornalmente non bastavano per darmi sollievo. Andavo ai corsi come un robot, leggevo tanti libri per tenermi occupata e i professori erano orgogliosi di me.
La mancanza, però, si trasformò in panico: 7 novembre. Era il 2005.
Gli attacchi alla metro londinese. Lui era a Londra. Questo successe quando ero tornata a Milano e mi tranquillizzai quando seppi che non era in vicinanza in quel momento.
Un giorno, una volta tornata in Austria, mi sentivo ansiosa, volevo vederlo perché sentivo che comunque qualcosa era saccaduto. Dicevo spesso a me stessa che tutto andava bene, che gli attacchi terroristici si erano fermati e dovevo aver pazienza.
Era già la terza settimana qui. Il tempo scorreva sempre più lentamente, mi sembrava di impazzire.
L'ho chiamato, come spesso facevo anche per sentirlo solo un minuto, ma non mi rispose. Allora ho riprovato ancora e ancora. Il panico scorreva nel corpo bruciandomi l'interno degli organi. Sentivo di poter soffocare da un momento all'altro perché forse era successo qualcosa di terribile.
Dopo ore che chiamavo disperatamente finalmente una chiamata. Rispondo velocemente, era sua madre. Mi disse che Stefano non si sentiva bene, era un po' sconcertato.
"Che cosa vuol dire?!"
"Non è nulla di grave, è un periodo un po' così... Ha deciso di andare via di casa per un paio di giorni in un monastero.."
"Dove??"
"Stai tranquilla, cara. Andrà tutto bene quando tornerai".
Questo è stato tutto. Nessun dettaglio o una spiegazione.
Monastero? Stefano non è una persona religiosa e sicuramente mi avrebbe avvisata.
Sapevo che dovevo far qualcosa, dovevo vederlo. Ho parlato con la coordinatrice spiegandole che dovevo tornare urgentemente a Milano e quindi doveva concedermi un paio di giorni liberi.Arrivai a casa sabato mattina, i miei genitori non sapevano niente.
Annunciai Maria, sua madre, che dovevo arrivare. Entrambi mi aspettarono alla stazione e siamo partiti insieme verso la loro casa di campagna, 50 km da Milano.
Durante il viaggio Maria parlò tutto il tempo. Lui invece è stato zitto; era felice di vedermi, mi sorrideva ogni tanto, ma sembrava dimagrito, segno che qualcosa non andava bene.Siamo rimasti soli. Mi diceva che non c'era nessun problema. Volevo credergli, ma non potevo. Finalmente, la sera tardi, rinunciai a riempirlo di domande e che la mattina successiva ne parleremo. Mi accovacciai a lui, felice di stare di nuovo insieme.
Poi, nel mezzo della notte si alzò all'improvviso cominciando a dirmi, con una voce cambiata, che lui sentiva voci. Ricordo di essermi spaventata così tanto che fuggii dalla stanza. Mi raggiunse nella sala..mi spiegò che gli succede qualcosa di incredibile, esattamente da quando ci furono gli attacchi a Londra. Allora sono iniziate le voci.Vedere l'uomo della tua vita turbato da una malattia mentale è forse uno dei più grandi incubi che qualcuno potrebbe affrontare. Per me, almeno, è stato difficile.
Nelle prossime 24 ore fino al mio ritorno in Austria abbiamo parlato molto. Stefano, il ragazzo lucido e intelligente, cercava di combattere contro la pazzia che lo inglobava. Mi descriveva con una chiarezza spaventosa la lotta contro la sua stesse mente, di tutte le voci che parlavano allo stesso tempo.
"Qualcosa mi trasporta verso il basso, qualcosa verso l'alto. Non so cosa fare, ma so che tutto andrà bene. E so anche che ti amo. Ti amo!"
Queste son state le ultime parole che mi disse alla stazione. Un'ultimo abbraccio, bacio. Abbiamo pianto entrambi.
Tornai a Stroebl dove mi laureai.
Continuavo a non sentire niente. Solo tristezza.Una volta tornata a Milano, Stefano non c'era più. Mi ritrovai con un corpo macinato da visioni. Un corpo che non dormiva, alcune volte rideva, altre rimaneva immobile, con lo sguardo fisso.
Non voleva mangiare, parlare. Guardavo nei suoi occhi verdi e non vedevo più niente. Il ragazzo che ho conosciuto, amato con ogni cellula del mio corpo, era morto.Nei due mesi successivi cercavo con disperazione di convincere i genitori che Stefano soffriva di una grave malattia e che aveva bisogno di un aiuto psichiatrico.
Sua madre non ne voleva sapere.
Non accettava che Stefano soffrisse di un male così immenso.Andavo a lavorare di mattina all'ufficio mentre la sera continuavo la mia università. Di notte, invece, percorrevo i 50 km per dormire con lui e stargli accanto. Non dormiva mai, stavo solo disteso.
I colleghi mi dicevano che ero dimagrita, mi chiedevano cosa mi stesse succedendo. Non percepivo niente, solo dolore e speranza per un miracolo.
Una sera, Stefano sembrava essere tornato tra noi.
Mi disse che sapeva quant'era difficile.
Che dovevo perdonarlo.
Che mi amava.
Mi abbracciò per poi scomparire di nuovo. Sapevo di averlo perso per sempre.I mesi a seguire trovai un nuovo lavoro. Cominciai una relazione con un nuovo uomo che sentivo più come amico..allora pensai che l'amore dovesse essere così.
Senza farfalle nello stomaco.
Senza fiori.
Senza sofferenza.
Comprammo una casa insieme, ci sposammo.
Non ballavo più la notte in casa. Tutto era piatto, calmo.
A 28 anni raggiunsi tutti i miei obbiettivi, tranne quello di essere felice.
Mi risvegliai improvvisamente dallo stato di anestesia che mi divorò per 6 anni. Parlai con uno psicologo per la prima volta, di me e di quel che mi era accaduto.
Finalmente riuscii a piangere.
Piansi per Stefano e il nostro amore perduto. Ho lasciato scorrere il sangue dalle mie ferite che avevo rinchiuso anni fa.Oggi compio 30 anni e mi son comprata l'anello che volevo 8 anni anni fa da Salzburg. Lo porterò con piacere ricordandomi di Stefano. L'uomo che mi ha insegnato di non sfuggire dal dolore racchiudendomi in me stessa.
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