63. Una cena di famiglia

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Ririn's pov

Passò per l'esattezza un mese, da quando mia madre lasciò casa nostra, da sola, ringhiandoci contro che sapeva che fossimo stati noi, e noi non ci premurammo neppure di risponderle, facendo passare le sue risposte per i deliri di una povera vedova che cerca di dare la colpa a terzi pur di accettare il fatto che il suo povero marito fosse venuto a mancare.

Non mi dispiacque neppure un po', non mi sembrò di vedere mio padre, disteso inerme sul letto, ma un uomo qualunque, che aveva rovinato non solo la mia vita, ma anche di coloro che avevo intorno, perciò – come dissi anche a Jungkook – no, non mi sentivo in colpa per averlo appoggiato e non mi pentii neanche un momento di averlo fatto, perché infondo, in quel modo, rovinammo un po' anche mia madre, proprio come loro fecero con noi.

Jungkook stava decisamente meglio, nonostante le innumerevoli notti insonni che passò – che passammo – sveglio, perché convinto di sentire la presenza della signora Choi, pur non essendo insieme a noi, mettendomi i brividi ogni volta in cui mi diceva quanto ne sentisse la mancanza, e sperai davvero che non sentisse le stesse sensazioni da parte di mio padre, cosa che fortunatamente non accadde. Continuai a stargli accanto, e lui mantenne la sua promessa, accettando di buon grado ogni mio tentativo di farlo sentire meglio, rifugiandosi spesso tra le mie braccia e ringraziandomi ogni volta, nonostante gli avessi detto più di una volta che fare questo facesse sentire meglio anche me.

Ciò che lo fece sentire meglio, però, furono gli straordinari progressi di Raekyung, che ormai riprese a camminare come un tempo, riuscendo anche a correre per lunghe tratte, quasi come se non fosse successo nulla, quando infondo nessuno di noi ci credeva davvero.

Iniziò delle lezioni private con un amico stretto di Wonho, una delle persone più intelligenti e stimolanti con la quale ebbi a che fare nella mia vita, che si faceva chiamare Shownu, nonostante fossi quasi certa del fatto che non fosse il suo vero nome, perché l'aura di mistero e sicurezza che emanava, lo rendeva ai miei occhi fin troppo furbo per compiere un errore del genere, ma mi andava più che bene così: Raekyung grazie a lui aveva ripreso fiducia in se stesso come mai prima d'ora, ed io non potevo che essergliene grata.

Ad interrompere quel flusso indefinito di pensieri fu la porta che si aprì in modo abbastanza delicato da non farmi venir voglia di girarmi, perché sarei riuscita a riconoscere ovunque quei passi leggeri e quel tipico piccolo sospiro che tendeva a soffiare prima di parlare.

“Ciao Kihyun” ridacchiai, sbuffando il fumo dalla mia sigaretta, con un ghigno sulle labbra e voltata di spalle, pensando per un attimo che se in tal caso non fosse stato lui, chiunque ci fosse stato al posto suo me lo avrebbe rinfacciato per il resto del miei giorni.

“Che cazzo-” la sua voce giunse immediatamente alle mie orecchie, facendomi ridacchiare nuovamente “Come facevi a sapere che fossi io?”

“Ho occhi ovunque” lo presi in giro, continuando a fumare nella direzione opposta alla sua, con i piedi sul tavolo e la testa comodamente poggiata allo schienale “Scherzo, ti ho sentito”

“Non so se esserne affascinato o avere paura...” borbottò, schiarendosi poi la voce “Posso?”

“Mh?” mi voltai, finalmente, verso di lui, che in risposta indicò la poltrona davanti a me, facendomi annuire con ovvietà.

Si fermò davanti lo specchio, però, con un broncio sulle labbra ed una mano tra i capelli, mentre tirava un piccolo ciuffo sotto il mio sguardo divertito e curioso.

“Ho la ricrescita” borbottò, tirando la ciocca davanti la fronte ed alzando gli occhi, rivolgendoli probabilmente al mezzo centimetro nero che cozzava con il color miele che si faceva ormai da anni.

 𝘏𝘖𝘛𝘌𝘓 𝘉𝘓𝘈𝘊𝘒 𝘔𝘖𝘛𝘏 // 𝔧𝔢𝔬𝔫 𝔧𝔲𝔫𝔤𝔨𝔬𝔬𝔨 ✔️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora