76. Un po' di giorni

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Kihyun's pov

Morsi con fin troppa forza, forse, il retro della mia matita, e lo pensai quando sentii il sapore legnoso tipico di essa in bocca, oltre ad una scaglia che sputacchiai infastidito, optando poi per sfogare il mio stress picchiettandola contro il tavolo al quale mi ero seduto, in maniera piuttosto fastidiosa e per nulla ritmica, che seguiva però alla perfezione il flusso dei miei pensieri, le cui parole d'ordine erano “frustrazione” e “fastidio”.

“Fanculo” ringhiai tra i denti, andando per chiudere il quaderno, ma una voce – seguita da un tipico profumo che avrei riconosciuto a distanza di metri – mi fece paralizzare immediatamente, facendo bloccare tutti i miei muscoli.

“Perché non usi una macchina da scrivere come tutti gli scrittori normali?” domandò la voce roca di Wonho, facendomi mancare un battito alla parola “scrittore” perché mai mi considerai tale, nonostante scrivessi romanzi sin da quando ero bambino. Mi piacevano le mie trame – se di trame si poteva parlare – ed il mio metodo di scrittura, amavo le mie storie ed i miei personaggi, ma non mi sentii mai uno scrittore, piuttosto un autore, un creatore, simile ad un artigiano, che dalla materia prima forma poi opere d'arte, ed io facevo lo stesso, riempiendo pagine bianche di fluidi pensieri.

“Gli scrittori sono altri...” ridacchiai, girandomi verso di lui, perché ormai era inutile continuare a mantenere quella sorta di segreto, perché lo sapevano tutti, ma lui fu il più invadente, perché mai nessuno – tranne Ririn e i miei fratelli, che lo sapevano praticamente da sempre – osò mai farmi domande.

“E' un modo per vaneggiarti risultando modesto?” mi prese in giro scherzosamente, ed io stetti al suo gioco.

“Può darsi...” mormorai, prima di giocherellare con il bordo del quaderno, ormai chiuso e sotto la custodia delle mie mani, che si poggiarono gelosamente su esso “Sono-” tossicchiai per schiarirmi la gola e tossii nervosamente “in imbarazzo, molto in imbarazzo”

“Perché? Non c'è niente di male” tentò di rassicurarmi, ma io inarcai sfacciatamente un sopracciglio.

“Dici l'ovvio” risposi immediatamente, risultando quasi acido nel modo in cui la esposi, ma lui ridacchiò quando vide la mia espressione, l'espressione di chi si è appena reso conto di essersi comportato da stronzo.

“Non preoccuparti” sorrise, sistemando le labbra intorno al suo sigaro, suo tratto distintivo che per qualche motivo sembrava rendere la sua aura ancor più affascinante e misteriosa, forse era lo stile da uomo di altri tempi. Mi sarebbe piaciuto ambientare una storia nell'ottocento, pensai tra me e me in quel momento, quando si tolse il cappello per poggiarlo sul tavolo, coprendo probabilmente senza rendersene conto la mia penna “Credo di essere stato un po' invadente” aggiunse poi, sghignazzando.

“Non mi sembri pentito” inarcai un sopracciglio scherzosamente.

“Non lo sono, infatti” scrollò le spalle tranquillamente, sorridendo con fare sfacciato “Ho scoperto che per scoprire qualcosa su di voi bisogna essere esageratamente invadenti, e per voi mi riferisco in particolare a te ed ai tuoi fratelli...” si leccò le labbra e poggiò tra esse il sigaro “Quindi no, non mi pento di essermi avvicinato a te senza permesso pur avendo visto che stessi scrivendo. E poi sarebbe stata una presa per il culo!” esclamò con più enfasi, facendomi quasi sussultare per il repentino cambio di voce “Ormai eri stato scoperto – nonostante penso che sia chiaro a tutti – quindi tornare indietro e fingere che non fosse successo nulla sarebbe stato meschino”

“Addirittura?” ghignai, e lui annuì con convinzione, mentre un'espressione tra il ghignante ed il sapiente – consapevole del fatto che stesse mentendo – si stampò sul mio viso “Oppure volevi semplicemente cogliermi in flagrante ma avere un pretesto per farlo”

 𝘏𝘖𝘛𝘌𝘓 𝘉𝘓𝘈𝘊𝘒 𝘔𝘖𝘛𝘏 // 𝔧𝔢𝔬𝔫 𝔧𝔲𝔫𝔤𝔨𝔬𝔬𝔨 ✔️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora