95. Uno sparo

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3th person's pov

L'illusione che tutto possa andare per il verso giusto, non è altro che un gioco bastardo creato dalla nostra mente, un incentivo per farci alzare ogni giorno e svolgere i nostri compiti giornalieri, perché, probabilmente, se avessimo potuto prevedere il futuro, o potessimo avere anche, semplicemente, una vaga idea di ciò che ci aspetterà, ci rinchiuderemmo nelle nostre case, ci nasconderemmo in esse, diventerebbero il nostro nido, dal quale, però, non spiccheremmo mai il volo.

Illudersi serve, aiuta a sorridere, aiuta anche a piangere, per quanto questo possa sembrare surreale, perché se sapessimo che cosa ci aspetta in futuro, probabilmente, il dolore che stiamo provando in quel momento, forse, non sembrerebbe poi così tanto grave.

E' umano: purtroppo gli esseri umani sono creature così indifese e sognatrici, da prediligere un presente fatto da utopie ad un futuro dai contorni ben definiti.

I protagonisti di questa magica storia, però, pur avendo dei doni speciali, che li rendevano in qualche modo al di sopra, dell'essere umano medio, non erano altro che mera merce nelle mani di un Dio calcolatore, un Dio annoiato - come già raccontato precedentemente - ma esageratamente vendicativo. Oppure, forse, era un'illusione anche quella? Magari era scritto nel loro destino, quello di non poter concludere con un lieto fine come avrebbero sperato, proprio come quelli delle fiabe che raccontavano alle due piccole mascotte della loro singolare banda.

Ma le premesse c'erano già, e per quanto fossero furbi e preparati su molti - moltissimi - argomenti, non lo furono abbastanza per restare sempre in guardia, in agguato, allerta come dei felini alla vista di del fresco e succulento cibo, perché il colpo poteva arrivare da qualsiasi parte.

Il colpo, lo definivano così, i loro antagonisti, mentre lo ultimavano e ne cambiavano gli ultimi minimi dettagli. Era premeditato, studiato, attento, ma altrettanto infantile e quasi penoso, perché mosso da una smania di potere e da un desiderio di affermazione, contro chi, fino a quel momento, regnò sul podio nonostante spesso esso avesse tremolato.

Era il giorno quindici gennaio millenovecentosessantatré, quando all'unisono, quel branco di matti, decise di festeggiare il compleanno dell'angelo caduto abbandonando le proprie mansioni per un giorno, per fare un grande e caotico picnic per augurio del maggiore, che, egocentrico com'era, passò la sua giornata a sfilare tra i suoi colleghi come avrebbe fatto su di una sfarzosa passerella, sotto un paio di scarpe eleganti, magari, e non un paio di scarponcini pesanti, a causa delle gelide temperature invernali.

Era tutto perfetto, tutti loro erano felici, ne erano sicuri.

I bambini correvano senza una meta, rincorrendosi, rincorrendo chi gli dava corda, saltando sui propri genitori per proteggersi da chi stava per prenderli, urlando che quando toccavano loro, il gioco era finito, una sorta di batti panni liberi tutti, perché nella loro innocenza sapevano che loro li avrebbero protetti sempre, a partire da uno stupido gioco in cui gli ipotetici nemici erano i loro amici più fidati.

Loro erano la loro protezione, il loro luogo felice, il loro momento di calma, la loro illusione, perciò, come tale, dovette lasciar spazio alla sadica realtà, che non vedeva l'ora di prendersi gioco di loro.

Uno sparo, infatti, un singolo sparo, preannunciò l'arrivo dell'inferno, una sorta di giudizio universale, che avrebbe decretato i vincitori di quella eterna lotta, soltanto che, purtroppo, coloro per cui tifiamo, erano disarmati e disorientati, colti alla sprovvista, da qualcosa di molto più grande di loro.

Quello era l'inizio della fine.

[...]

"Cristo" mi sciacquai il viso con forza, stando attento ad usare dell'acqua gelida, nonostante a metà gennaio, probabilmente, non fosse proprio consigliato, almeno che la persona in questione non avesse voglia di farsi venire i geloni.

Purtroppo la mia memoria era ancora troppo fervida, perciò, era in grado di ricollegare ogni giorno al giorno stesso, ma del passato, un passato stupendo, finché non arrivò quel maledetto giorno, che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato.

Chissà cosa ne pensava del suo compleanno, il povero Hyungwon, dopo il disastro che accadde quel giorno. Decisi perciò di scrivere una lettera per domandarglielo, pensando che, forse, avrei dovuto scriverla prima, per fare in modo che per quel giorno l'avesse già lì con sé, ma meglio tardi che mai.

"Caro Hyungwon..." mormorai perciò, dopo essermi ricomposto, aver asciugato le lacrime, ed aver trovato un foglio ed una penna - solitamente utilizzavo una piuma e dell'inchiostro, perché rendevano la mia scrittura molto più carina, ma quel giorno ero triste, perciò, lo sarebbe stata anche la mia grafia, perché doveva naturalmente rispecchiarmi - "No, troppo formale" mi dissi poi, rigando quella parola con la punta della penna, che cominciai a picchiettare sul foglio, creando piccoli puntini che tentai di ignorare per non innervosirmi ancora di più, concentrandomi piuttosto sul mio labbro inferiore stretto tra i denti, e sulle lacrime che solcò la mia guancia e cadde sulla carta, che mi fece aggrottare le sopracciglia. Una lacrima?

"Ah, fanculo" ringhiai poi, stringendo quel foglio in un pugno ed accartocciandolo rapidamente, prima di tirarlo il più lontano possibile da me, così da avere le mani libere, che arpionai ai miei capelli disperatamente, riprendendo a singhiozzare senza un minimo di contegno, ma fanculo anche al contegno "L-la scriverò quando starò m-meglio..." mi dissi poi, annuendo alle mie stesse parole, lasciando che le mie lacrime scendessero indisturbate, perché avevo imparato - avevo avuto abbastanza tempo per farlo - che più le sopprimevo, più il mio naso bruciava fottutamente tanto.

Il quindici gennaio era un giorno devastante per tutti, non solo per il festeggiato, perciò, pensai, con ancora fiumi di lacrime che grondavano dai miei occhi, che forse quella lettera avrei dovuto scriverla a tutti.

Sì, lo avrei fatto, era giusto così.

 𝘏𝘖𝘛𝘌𝘓 𝘉𝘓𝘈𝘊𝘒 𝘔𝘖𝘛𝘏 // 𝔧𝔢𝔬𝔫 𝔧𝔲𝔫𝔤𝔨𝔬𝔬𝔨 ✔️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora