Kihyun's pov
Un leggero venticello solleticava le mie guance, e spostava autonomamente le pagine del libro che tenevo tra le mani, costringendomi a tenere le dita ben impresse sulle pagine, in modo da non perdere il segno.
Un paio di occhiali tondi – che utilizzavo solamente per leggere senza sforzare la vista – erano poggiati sul ponte del mio naso, mentre i miei occhi saettavano tra le righe delle pagine profumate di quel romanzo.
Lolita, di Vladimir Vladimirovič Nabokov, aveva ormai catturato la mia totale attenzione da giorni, rendendomi totalmente dipendente da quella trama perversa quanto intrigante, facendomi dimenticare tutto ciò che mi circondava, proprio come accadde in quel momento, sul prato del giardino esterno all'Hotel, in cui spesso passavo il mio tempo, in compagnia di me stesso e dei miei amati romanzi.
Ogni cosa, nella mia vita, era in grado di ispirarmi: dal fruscio delle foglie sugli alberi, a quelle frasi scritte in inglese che leggevo a fatica, ma che mi impegnai per capire, perché sarebbe stato un vero peccato perdermi tutto quello solamente a causa di una lingua diversa dalla mia.
Avrei davvero potuto passare ore così, ma alla sola condizione che nessuno sarebbe dovuto passare davanti a me, importunandomi con le proprie futili parole o osservazioni, che nulla avevano di interessante, in confronto a ciò che leggevo o che ronzava nella mia testa; per questo motivo, quando un ragazzetto di circa undici anni, con un berretto al contrario sulla testa, ed un paio di scarpe palesemente costose, si avvicinò per dirmi senza alcuna gentilezza che non potevo sostare lì, perché aveva già poggiato la tovaglia per fare un pic-nic con i suoi amici, venne spudoratamente ignorato, e preferii dedicarmi, ancora, alla lettura del mio libro.
«Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta.»
Ormai ero fin troppo immerso nella mia lettura per poter prestare attenzione al fastidioso e stridulo petulare del ragazzino imbronciato davanti a me che – vedevo con la coda dell'occhio – aveva arpionato le mani ai fianchi, come per incutermi timore.
“Mi hai sentito?” ripeté, distraendomi realmente per la prima volta da quella che fino a quel momento mi sembrò la parte più bella della mia appassionante lettura, che senza quel fastidioso ronzio mi avrebbe di sicuro messo la pelle d'oca.
“Che cosa vuoi?” grugnii tra i denti, dandogli finalmente l'attenzione che cercava, togliendomi gli occhiali e poggiandoli sulle pagine aperte del libro.
“Ho detto che non puoi stare lì, è il mio posto!” gracchiò, ed io arricciai il naso, infastidito dalla maleducazione di quello stronzetto.
“Come ti chiami?” chiesi quasi amichevolmente, spiazzandolo, probabilmente.
“Anthony” mi rispose lui, con il mento rivolto verso l'altro e la schiena dritta. In quel momento mi domandai se anche io e i miei fratelli – nati e cresciuti in un ambiente fottutamente ricco e sfarzoso – apparissimo così alla gente, ma mi imposi di rispondermi di no, perché sarebbe stato davvero un duro colpo.
“Anthony... Non mi sembra di leggere il tuo nome da qualche parte, qui” ringhiai infastidito e riabbassai lo sguardo sui fogli candidi che sembravano chiamarmi per continuare a leggere, ignorandolo proprio come stavo facendo prima.
“Ma c'è la mia coperta!” continuò, ed io mi domandai per quale motivo non avesse ancora preso la sua maledetta copertina e l'avesse trascinata lontano da me.
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𝘏𝘖𝘛𝘌𝘓 𝘉𝘓𝘈𝘊𝘒 𝘔𝘖𝘛𝘏 // 𝔧𝔢𝔬𝔫 𝔧𝔲𝔫𝔤𝔨𝔬𝔬𝔨 ✔️
FanfictionSeoul, 1962 {STORIA COMPLETA} "Correva l'anno millenovecentocinquantotto, quando un piccolo gruppo di anime decise di rendere il proprio presente un po' meno incerto, rifugiandosi tra le braccia di coloro che inconsapevolmente crearono un covo per...