Capitolo 26

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Emma

Imbarazzati ci muoviamo verso lo sportello della cinquecento. Io apro con il portachiavi e lui tira la maniglia della portiera invitandomi a entrare. Sospira quando ormai sono seduta al mio posto.

«Ci vediamo a casa, okay?» come potrei dirgli di no.

«Sì.» Lui richiude e io accendo pronta ad andare via sotto il suo sguardo dal marciapiedi. Una volta in strada lo vedo avviarsi verso la sua di auto e allora io sono libera di disperarmi.

«Accidenti.» Non avrò mai più il coraggio. Stringo il volante e mi trattengo dallo sbattere la testa su esso.

Era tutto perfetto: l'atmosfera, la confidenza fra noi. Dannato vigile. Digrigno i denti come farebbe un cane furioso.

Cammino lentamente verso casa, non voglio arrivare molto prima di lui, me ne pentirei ne sono certa.

Osservo le luci rosse del mezzo che mi precede al semaforo e cerco di spegnere tutti i pensieri, voglio provare a portare fino a casa il motivo per cui era giusto lasciarmi andare a quell'affascinante uomo.

Quando intravedo la sagoma di casa mia sento una morsa stringermi la bocca dello stomaco. Finito di posteggiare mi guardo allo specchietto per essere certa che il trucco non sia colato e trovo quell'orribile alone nero sotto l'occhio destro. Passo l'indice cercando di non peggiorare la situazione è alla fine mi sembra di perdermi nella mia espressione timorosa.

Arrabbiata con me stessa, per le solite paure che mi crescono dentro, scendo dall'auto e chiudo con forza lo sportello. Odio quando la sensazione di non essere abbastanza mi fa titubare di me stessa.

Fortunatamente vedo posteggiare Enrico poco più avanti. Mi dipingo il più sincero dei sorrisi che riesco a fare e mi fermo sul marciapiede ad aspettarlo.

Sono almeno le undici di sera, la strada è tranquilla e si sente nell'aria un leggero profumo di legna bruciata, qualcuno avrà acceso il camino.

Porto la borsa alla spalla e stringo i bordi del cappotto che nonostante sia pesante non riesce a scaldarmi del tutto. Un brivido di freddo scorre per il mio corpo mentre guardo a terra una pozzanghera in attesa di Enrico. Sento i passi scricchiolare mentre si avvicina.

«Emma.» La voce bassa trasforma il freddo che mi accarezza il volto nel vento di scirocco che accompagna le estati in sicilia.

Alzo il capo e vedo in lui il dispiacere per ciò che sarebbe potuto accadere e che invece non è avvenuto. Mi tranquillizza sentire ancora il suo desiderio per me.

«Andiamo?» Inclino la testa verso casa nostra e lui fa il primo passo verso il vialetto illuminato da una tenue luce gialla.

Chi dice che non possiamo ripartire da la. Con lui accanto mi sento più coraggiosa.

Avanziamo spalla a spalla in silenzio forse entrambi stiamo pensando a come riprendere il discorso... e non intendo le chiacchiere.

Arrivati davanti la mia porta ci fermiamo entrambi. Alzo il volto verso il suo cercando il suo sguardo sicuro. E lo trovo. Lo trovo fermo su di me. Invitante. E allora okay. Mi lascio ingolosire dal desiderio che balla fra di noi.

Mi giro verso il legno e con mano tremante inizio la ricerca della solita chiave perduta. Cerco di non fargli vedere né quanto sono imbranata né quanto sono trepidante di aprire quella dannata porta.

Il suo corpo mi sembra così vicino mentre tra lui e la porta mi sento piccola e indifesa. Il suono leggero dei nostri respiri fa da sottofondo a quell'attimo che mi sembra infinito.

Il metallo freddo sfiora il mio palmo e allora lo stringo facendomi anche male. Non mi sfuggirai tiro fuori la mano e trionfante infilo quell'oggetto dispettoso nella toppa.

A volte l'amore fa dei giri immensiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora