Capitolo 4

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Astrid
I miei pensieri sono in continuo contrasto tra loro e le parole di Asia e Luke continuano a ronzarmi in testa. Jason ha sicuramente il diritto di sapere che ha un figlio. Sto seriamente pensando di contattarlo per parlargliene. Tutti continuano a ripetere la stessa cosa, come se non fossi in grado di prendere le mie decisioni da sola. Non sono pronta ad averlo di nuovo nella mia vita, non so nemmeno se accetterebbe il fatto di avere un figlio perché non voglio che mio figlio venga rifiutato. Quello è bastato a me.
Dovrei persino stravolgere la vita di Elia con un uomo che compare all'improvviso e piomba nella sua quotidianità. Il mio piccolo non se ne accorgerebbe, ma come andrebbe a finire, per lui, se suo padre e io non dovessimo andare d'accordo? Si sa che quelli che soffrono per le divergenze dei genitori sono sempre i bambini e io non sono disposta a far soffrire mio figlio per nulla al mondo.
Adesso ho la consapevolezza che da sola mi bastò. Dopotutto, non mi manca nulla, ho un lavoro, Il bilocale è mio, per cui non devo pagare affitti, oltre le spese quotidiane non ho altre spese. Cosa potrebbe fare Jason? Potrebbe darmi un aiuto economico? Non mi serve. Quindi è meglio lasciare tutto per com'è.
Mi manca solo un padre per mio figlio e questo non vuol dire un uomo per me, dopotutto sono tre anni ormai che vivo la mia vita da sola.

Eravamo un incendio spento, cenere che si dirada e adesso è meglio che ognuno vada per la sua strada.

***

Per fortuna il weekend è tutto per me e per Elia, s' intende. Il nervosismo dei giorni passati, su quello che dovrei o non dovrei fare con Jason, mi ha messa sotto pressione anche se l'unica cosa che dovrei fare adesso è non pesare a lui anche se mi è impossibile. Nonostante siano trascorsi anni lui è sempre presente nei miei pensieri. Come fa ad avere tutto questo potere nonostante siamo distanti chilometri? Comunque, dal momenti che non riesco a zittire la mia mente e mi trovo sotto pressione, inizio a pulire come una matta. Credo che tenere le mani occupate e concentrarsi su determinate cose, distolga la mia attenzione dalle cose che vorrei dimenticare e per fortuna, per me funziona sempre. Ormai sono diventata veloce, per cui dedico il resto del mio tempo a giocare col bambino. Il sabato e la domenica sono gli unici giorni che posso stare con lui ventiquattrore su ventiquattro.

Più tardi, quel pomeriggio, mi arriva un messaggio di Veronica, una delle mie più care amiche nonché collega di lavoro. Il nostro rapporto è un po' strano però. Perché, se da un lato io sono un libro aperto nei suoi confronti, lei sembra sempre guardinga, come se avesse qualcosa da nascondere. Comunque, non vi faccio caso più di tanto perché l'importante è la lealtà e l'affidabilità di Veronica.
Come ogni sabato, io, lei e il bambino, andiamo in giro per la città nei parchi o a fare shopping, per cui mi premuro a scendere in strada, dal momento che mi sta già aspettando sotto il mio appartamento.

«Dai, sali in macchina» dice. «Veloce».
La fila che si sta creando dietro la macchina di Veronica è lunghissima e gli autisti non sembrano gradire neanche cinque secondi di fila.

«Mi sbrigo, mi sbrigo» dico posizionando Elia nel seggiolone sul sedile posteriore che si trova sulla macchina aziendale. Mi infilo anch'io dietro e saluto velocemente Veronica che riparte non appena il bambino ha la cintura allacciata.

«Nica, nica» continua a chiamarla Elia.

«Amore della zia. Ma quanto sei bello?!».

«Bello come la madre. A proposito, perché oggi hai preso la macchina di Nick?» chiedo, curiosa. Di solito Veronica prende solo ed esclusivamente i mezzi pubblici.

«Lauren mi ha chiesto di andare a Philadelphia a prendere gli inviti per la festa di sabato prossimo» mi spiega lei.

«Scusa, ma non poteva andarci il suo assistente?».

«Nick è malato e Lauren ha chiesto a me di andarli a prendere. Non potevo dirle di no, no?».

«Presumo di no. Ma non poteva farli fare a New York stesso?».

«Sai com'è fatta Lauren. Lei vuole sempre il meglio e poi una parte del ricavato degli inviti andrà in beneficenza» puntualizza Veronica, lanciandomi qualche occhiata dallo specchietto retrovisore. «Sai, la festa sarà un ballo in maschera».

«Certo. Perché dare una semplice festa? Sarebbe stato banale. Comunque io non posso venirci».

Avevo pensato di andare, mi piaceva l'idea quando Lauren mi ha invitata, ma poi ho pensato che mi è impossibile. Di certo, non posso portare Elia con me e la mia baby-sitter dovrebbe essere anche lei alla festa.

«Perché no, Astrid? Oltre a festeggiare il pensionamento, sarà presentato il nuovo CEO dell'azienda» dice come per convincermi.

«Ma chi se ne frega?!» ribatto. «Devo badare a mio figlio e poi il nuovo capo lo rivedrò il prossimo lunedì al lavoro e fidati che non ho bisogno di nessuna presentazione ufficiale. Ma poi, da quanto in qua insisti per andare alle feste? Di solito sei tu quella anti-festa».

«Sarò pure quella anti-festa, ma vado sempre o comunque nella maggior parte dei casi» puntualizza Veronica. «Poi lo faccio per te, da quanto tempo non esci con qualcuno, Astrid? Sai che tutte le feste dei Jefferson sono piene di ragazzi ricchi e belli. Sabato potrebbe essere la tua occasione per conoscerne qualcuno».

«Veronica, sabato saranno tutti con una maschera sulla faccia, eccetto io che non ci sarò. Come faccio a venire? Hai dimenticato Elia? Sai, la mia baby-sitter è ad una festa» rispondo sarcastica.

«Ma sciocchina, io penso a tutto. Potresti lasciare il piccolo Elia con Brad e Megan. Non ti direbbero mai di no, stravedono per lui».

«Non lo so» dico, poco convinta.

Elia non avrà problemi a restare con Megan e mio cugino. Del resto, loro lo viziano ogni volta che ci vengono a trovare e anche il bambino è felicissimo ogni volta che li vede. Ci penso ancora un po' su e per la prima volta, dopo tre anni, penso sul serio di uscire.

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