Capitolo 23

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Jason
La luce tenue del mattino filtra dalle finestre illuminando la stanza. La prima cosa che noto è che non sono nella mia camera e la seconda cosa che attira la mia attenzione è la gigantografia di un bambino furbetto attaccata al muro. Mio figlio. Ha la faccia da monello.

Astrid non è a letto, ma il piccolo Elia dorme ancora al mio fianco. Si è accoccolato un po' più vicino a me e non so cosa fare. Devo alzarmi quando si sveglia? Forse è meglio di no perché altrimenti rischierei di svegliarlo se mi muovo troppo. Quanto deve dormire un bambino? Con chi rimane quando sua madre, la mattina, lavora?

Carezzo la sua graziosa guancia arrossata. Il bambino sospira e apre gli occhi lentamente. Mi guarda con sguardo fisso e sbadiglia. Non sembra turbato, mi sembra abbastanza tranquillo, considerando il fatto che sono uno sconosciuto per lui.

«Chi sei?» mi chiede curioso. La sua vocina mi arriva dritta al cuore. La cosa triste è che mio figlio mi sta domandando chi sono. Cosa dovrei rispondere?

«Sono Jason» dico. Sono come paralizzato. Non so cosa dire ne cosa fare. Nel frattempo, entra in camera Astrid, esclamando: «Amore».

Ovviamente non si riferisce a me, ma a Elia che, vedendola entrare, si alza di scatto e alza le braccia nella sua direzione, saltellando sul letto per farsi prendere in braccio.

«Mammina, pendimi, pendimi». Mi metto a sedere sul letto, guardando quella scena. Elia ama Astrid tanto quanto lei ama lui. Il bambino la bacia sulla guancia senza mai fermarsi e lei sorride a sua volta come una bambina. Questo è il primo sorriso sincero che le vedo fare da un mese a questa parte. I suoi occhi sono felici quando li posa sul quel bambino.
Mi sento come il terzo incomodo. Astrid si sta facendo coccolare da nostro figlio e io non l'ho mai preso in braccio.

«Chi è lui?» continua a ripetere il piccolo.

«Lui è...» inizia. Nemmeno Astrid sa come concludere la frase e sembra parecchio in difficoltà, quindi mi alzo per andare da loro.

«Sono un amico della tua mamma» dico.

La parola amico non è delle più azzeccate, però gli porgo la mano e il piccolino me la strige con decisione. «Piacere di conoscerti» dico.

«Pacere di conoscetti» ripete a sua volta.

Gli sorrido e il suo sorriso di risposta
è come una premio per me.

La cosa positiva è che non si è messo ad urlare quando mi ha visto. Credo che andremo d'accordo. Lo spero, almeno. È il mio bambino, voglio avere un bel rapporto con lui. Voglio che stia bene con me, voglio farlo divertire e non voglio mai fargli mancare nulla.

Astrid lo guarda come se fosse la cosa più preziosa che ha. Abbiamo fatto un bambino stupendo insieme e lei lo ha cresciuto, però da sola e questo mi fa rabbia.

«Ho fame» si lamenta Elia.

«E che vorresti magiare?» chiede Astrid, premurosa.

«I ciccolato» urla, entusiasta Elia. Sorrido. Il bambino ha le idee chiare e somiglia a sua madre, riguardo i gusti a tavola.

«Allora andiamo a mangiare tanto cioccolatooo» esulta lei.

«Sìììììì».

Mi sento come se fossi in più. Astrid non mi rivolge la parola da ieri sera e sta quasi per lasciarmi da solo in camera quando, arrivata davanti la porta, mi dice: «Vieni. Andiamo a fare colazione».

La seguo in cucina dove mette Elia sul seggiolone. Come ho fatto a non accorgermene la mattina che sono venuto da lei?

Il bambino fa un chiasso assurdo mentre beve il suo latte al cioccolato. Beve dal biberon da solo, anche se si sta sporcando il pigiamino.

Il tuo cuore lo porto con meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora