Capitolo 47

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Astrid
Passare tutta la giornata con Jason, non solo è stato piacevolissimo, ma è stato anche veloce. Diciamo che ho perso la cognizione del tempo: mi capita spesso quando mi trovo bene con qualcuno e poi se quel qualcuno è Jason... Ogni volta che sono con lui dimentico tutte le cose negative che ci sono state ultimamente tra di noi. Anzi, i momenti piacevoli che passiamo assieme mi portano sempre a pensare a tre anni fa, quando insieme eravamo felici. Anche adesso lo sembriamo. Io lo sono: ho Elia. E anche se vorrei Jason in un'altra maniera, per il momento devo accontentarmi di averlo accanto così e per adesso me lo faccio bastare.
È stato dolcissimo e premuroso nei confronti di Elia. Anche con me, ma ho cercato di non farmi false illusioni. Jason è sempre stato gentile nei miei confronti, per questo non vorrei scambiare la sua gentilezza per qualcosa di più. Sarebbe solo frutto della mia immaginazione e non credo che sarei in grado di sopportare altre delusioni. Ho talmente la vista annebbiata che basterebbe un'azione "gentile" a farmi fraintendere. Per questo sto cercando di non espormi troppo. Ho già dato e credo sia il momento di farla finita, dato che da parte sua non ho avuto conferme.

«Che ne dici di cenare insieme?» mi chiede Jason.

«Certo, se vuoi rimango. Posso cucinare io» mi offro.

«No, intendo cenare fuori. L'ultima volta Elia si è addormentato. Ci conviene cogliere l'attimo finché è sveglio».

Il suo sorriso mi fa diventare le gambe molli, ma subito un dubbio si insinua nella mia testa. «Jase, se è per quello che ti ho detto ieri notte, non devi preoccuparti. Il cibo non ci è mai mancato e ho accettato anche l'aumento quindi non...».

«Astrid, mi offendi» dice, interrompendomi. «Ho il piacere di portare te e mio figlio fuori a cena, visto che l'ultima volta non ne abbiamo avuto la possibilità. Tutto qui. Me lo permetti? Altrimenti rimaniamo a casa, cucini e metti tutto a posto!» esclama divertito.

«Accetto solo perché non ho voglia di lavare i piatti. Non dobbiamo andare per forza in un ristorante. Va bene anche una panineria, mi adatto a tutto».

"Lo so bene che per te va bene tutto. Tu sei... sei...".

«Sono?» lo incito.

Jason sembra indeciso se parlare o no, ma poi dice: «Sei perfetta. Non ti crei mai problemi inutili. Sei la donna che tutti vorrebbero avere».

Quelle parole mi colpiscono dritte al cuore. La cosa triste è che l'unica persona che voglio non vuole me.

«E allora cosa ci impedisce di stare insieme?» chiedo seria. Vedo il suo volto cambiare espressione.

Dopo un attimo di silenzio vedo Jason sospirare, ma dopo aggiunge: «Il fatto che mi hai ferito profondamente, mi hai tenuto nascosto un bambino, Astrid. Non è una cosa da niente. Con te sto benissimo. La sintonia e la complicità non sono mai state un problema tra noi. Oggi abbiamo passato una giornata meravigliosa, ma ogni volta che penso a quante opportunità di dirmi la verità hai avuto in questi tre anni, la rabbia prevale su tutto. Mi hai privato di un bambino meraviglioso. Ho perso due anni della sua vita e Dio solo sa se sarei mai riuscito a conoscerlo».

«Lo so, ho sbagliato e me ne pento. Ho fatto del male sia a te che a nostro figlio. Ma voglio rimediare ai miei sbagli. Voglio che tu mi dia fiducia. Voglio una vita con te. Se tu me lo permetti» dico avvicinandomi a lui.

Vedo dai suoi occhi che è combattuto, ma qualcosa mi dice che questa sarà l'ennesima secchiata d'acqua fredda.

«Io non posso farti promesse che non posso mantenere. Mi dispiace. Farò sempre parte della vita di Elia e della tua, è inevitabile. Per il momento posso solo esserti... amico» conclude.

«Amico?» chiedo incredula. «Non sarò mai tua amica. Parli sempre di quanto tu sia ferito, ma ti sei mai fermato per un secondo a riflettere su quanto io sia stata ferita e quanto male tu mi abbia fatto andandotene? Ti sei mai domandato quello che ho dovuto passare in questi tre anni? Ti sei mai chiesto come ho fatto da sola a crescere un figlio? Ero completamente da sola nel momento del bisogno. Avevo solo bisogno di te, che tu fossi al mio fianco a prenderti cura di me e di Elia. Invece mi sono ritrovata completamente sola» concludo in un sussurro.

Jason è completamente ammutolito. Faccio di tutto per non far sgorgare le lacrime dagli occhi. Devo essere forte, oggi più che mai. Dico sempre di lasciar perdere, ma non faccio altro che ricordargli quanto voglia stare con lui. Mi umilio ogni volta e non risolvo mai nulla.

«Vorrei andare a casa. Puoi accompagnarmi?» chiedo.

«Volevo passare una serata tranquilla con voi. Rovini sempre tutto, Astrid».

«Io rovino sempre tutto, Jason?» gli urlo in faccia. «Io? E tu? Cosa mi dici di te? Com'è stato non avere nessun tipo di responsabilità? Com'è stato trovare un bambino cresciuto di cui occuparsi? Cosa cazzo ne sai tu di quello che ho dovuto passare durante la gravidanza, di quello che ho perso!».

Sembra colpito e allo stesso tempo ferito dalle mie parole, ma non osa ribattere. Calmo la mia rabbia solo quando sento singhiozzare Elia. Non avevo mai urlato in sua presenza e quando lo vedo così mi pento amaramente di avere questi scatti d'ira. Dopotutto, non li avrei se non ci tenessi realmente.

Prendo mio figlio in braccio, cullandolo e baciandolo. «Scusami piccolino. Ce ne stiamo andando» gli sussurro all'orecchio.

Lui annuisce sfregando la testolina sul mio viso. È il suo modo per dirmi che ha sonno.

Il tragitto in auto è silenzioso e carico di tensione. Jason non fa niente, non si scusa e di certo non sarò io a fare un altro passo nella sua direzione. Mi ha chiuso fin troppe porte in faccia e adesso ho deciso che è arrivata l'ora di smetterla di andargli dietro.

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