Capitolo 42

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Astrid
Mi preparo mentalmente a chiedere a Jason di tenermi Elia. E se dovesse rifiutare? O se avesse un appuntamento? La prima ipotesi è esclusa. Dubito fortemente che non voglia passare del tempo con suo figlio dopo tutto quello di cui l' ho privato; la seconda è meglio per lui che non sia così, non voglio confondere Elia, soprattutto adesso che gli ho dato il via libera a chiamare Jason "papà".

Busso piano alla porta del suo ufficio - che continua a rimanere chiusa - e affacciandomi riesco a vedere il momento in cu alza le testa e i nostri occhi si incontrano.

«Matt non c'è» esordisce.

«Cosa ti fa credere che cercassi lui?» chiedo seccata.

«Niente, scusa. Ti serviva qualcosa?».

«Posso entrare?».

«Certo».

Entro nell'ufficio, chiudendomi la porta alle spalle e mi siedo nella sedia di fronte alla sua. Meglio evitare contatti o sfioramenti casuali. Più che altro perché, a quant'è bello questa mattina, potrei svenire tra le sue braccia. Con quei pantaloni abbinati alla camicia bianca, sbottonata al punto giusto, reincarna tutto ciò che ho sempre desiderato in lui. Ma meglio lasciar correre e arrivare subito al sodo. C'è un motivo per cui sono qua, quindi via il dente via il dolore, no?

«Senti, non è che potr... Cioè, ti sto chiedendo un favore, non sei obbligato a far niente se non vuoi. Lo capisco che per te è una cosa nuova, occuparti di un bambino e tutto il resto, quindi fa' finta che non sia mai venuta e ciao».

Mi alzo nervosa dalla sedia, convinta di ritornarmene al mio posto, ma sento il movimento di Jason alle mie spalle e qualcosa che blocca la mia fuga. Mi giro e trovo la camicetta impigliata nella sedia e impreco sottovoce contro me stessa. Sarà stato il destino, lo so. È un segnale dal cielo che vuole impedirmi di lasciare mio figlio. Cerco nervosamente di staccare la sedia dalla mia camicia, ma mi trovo le mani di Jason che bloccano le mie.

«Astrid, sta' ferma» mi ordina, sorridendo. È proteso su di me e questa vicinanza è proprio quello che volevo evitare, sedendomi lontano da lui. Inoltre, il suo odore non aiuta a calmare i battiti impazziti del mio cuore, ma faccio come mi dice e lascio che sia lui a liberarmi dalla sedia.

«Fatto!» dice, sorridendomi.

Certo, fatto!, che ci voleva? Con la calma si risolve tutto.

«Si è strappata» mi fa notare.

«Non fa niente. Grazie, ora vado».

Vengo di nuovo bloccata, questa volta da Jason che mi tiene per un braccio e mi fa sedere sulla sedia maledetta, mentre si appoggia alla scrivania in attesa che io parli, ma sono letteralmente intrappolata dal suo sguardo sexy e tutto ciò che penso è come sarebbe bello averlo un'altra volta.

«Chiedimi tutto ciò che vuoi. Ne avevamo parlato, no? Soprattutto se si tratta di Elia».

«Io non so se è più una buona idea. Sono una madre e la mia priorità dovrebbe essere sempre mio figlio».

«E io sono un padre che non ha avuto la possibilità di occuparsi di suo figlio e adesso voglio farlo. Voglio che Elia sia anche la mia priorità, quindi se hai bisogno di un favore che riguarda lui, chiedi pure».

«Okay. Avevamo pensato, con le ragazze, di uscire questa sera. Avevamo pensato di mangiare fuori e...».

«Lo tengo io» mi interrompe Jason.

«Non devi sentirti obbligato. Io non sono nemmeno sicura di voler uscire. Quindi è ancora tutto da decidere, per cui sentiti libero da qualsiasi impegno» mi affretto a concludere.

Jason
Il fatto che debba tenere mio figlio mi rende entusiasta. Metterò me stesso alla prova, potrò vedere se me la cavo a fare il padre, senza che ci sia Astrid a salvarmi sempre nei momenti di difficoltà. Ma il fatto che lei abbia preso il mio consiglio al volo mi irrita un po'. Non voglio che conosca altre persone. Quando l'ho detto sono stato preso dal panico, pentendomi subito dopo averlo detto. Non voglio che la mia donna confonda Elia. Sono io suo padre e non voglio che il mio bambino conosca nessun altro che possa sostituirmi in quel ruolo. Capisco che tutto questo sarebbe potuto succedere anche prima, ma se non è successo ci sarà un motivo. Astrid l'avrà fatto per proteggere il bambino e anche perché - da quello che ho capito - prova ancora dei sentimenti nei miei confronti, ma non voglio giungere a conclusioni affrettate.

Comunque, dico la cosa che è meglio per lei: «Sta' tranquilla. Esci. Sentiti libera di fare ciò che vuoi. Fai quello che fanno tutte le donne della tua età. Ti sei persa alcuni passi importanti della tua vita e anch'io. Quindi io mi occuperò del piccolo e tu uscirai con le tue amiche. Siamo d'accordo» concludo con un tono che non ammette repliche.

«Sei sicuro? Posso disdire in qualsiasi momento».

«Sì, Astrid. Sono sicuro» dico sorridendole.

La rassicuro perché voglio che non si senta in colpa per un'uscita. Le ho promesso che ci sarei sempre stato sia per il piccolo che per lei. Non posso darle ciò che vuole, ma voglio aiutarla in qualche modo.

«Grazie. Adesso vado sul serio. Ci vediamo tra un po' per andare al nido» dice, dandomi le spalle. Punto gli occhi su quel pezzetto di fianco che si intravede dallo strappo della camicetta e non posso fare altro che guardarle anche il fondoschiena.

«Ehi, Astrid» dico attirando la sua attenzione. «Copriti».

Non voglio che qualcun altro veda un solo lembo di pelle che appartiene a me.

Più tardi, lungo il tragitto verso l'asilo, non faccio altro che rassicurare Astrid sul fatto di non sentirsi in colpa e che può lasciarmi Elia quando vuole. Non mi sono proposto di tenerlo con me tutta la notte perché non vorrei farla sclerare. Però mi fa un sacco di raccomandazioni che, sono sicuro, mi ripeterà anche stasera. Quindi non faccio altro che annuire e informarmi su quello che mi è meno chiaro. Sono totalmente rapito dalle tecniche per cambiare il pannolino di Elia, che non mi rendo conto che siamo appena arrivati all'asilo.

D'un tratto sento la vocina di Elia che urla: «Papà Jasooon!». Papà Jason. Ho un tuffo al cuore al suono di quelle parole. La gioia che mi invade il petto è talmente grande che mi sento paralizzato. Non so che dire o fare. Vedo Elia che si catapulta tra le mie braccia e quando lo prendo continua a chiamarmi papà e a sorridermi come se per lui fossi prezioso. Sono rapito dall'amore che vedo dentro i suoi occhi e dall'amore che provo per lui. Di come lo amo più della mia stessa vita. È il mio sangue e il mio tutto. La mia ragione di vita e della mia felicità.

Lancio una sguardo ad Astrid che sembra commossa e sento anche i miei occhi riempirsi di lacrime.

«Ti ha scelto lui» mi dice. Guardo ancora il mio piccolino, baciandolo e prendendomi i suoi bacini umidi e i suoi abbracci affettuosi.

«È una sorppesa bellissima, mammina» ripete Elia.

«Sì, piccolo mio. Lo è» dico in un sussurro. E anche questo momento può essere inserito tra quelli più belli della mia vita. 

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