Capitolo 9

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Jason
Sono due giorni che continuo a pensare a lei. Tutto mi sarei aspettato, tranne trovarla alla festa di Lauren e, soprattutto, scoprire che sarò il suo nuovo capo.

Sabato sera, mi è mancata l'aria nei polmoni, quando ho visto i suoi occhi. La sua bellezza è disarmante. Sono passati tre anni dall'ultima volta che l' ho vista e la donna che è in lei è sbocciata magnificamente. Sempre perfetta, con le curve al posto giusto e il viso meraviglioso. Le mancava solo una cosa: il sorriso. Sembrava fredda come il ghiaccio, solo perché qualcuno l'ha ferita quando era dolce come il miele¹.
Avere un minimo contatto con lei, ha riportato indietro tutti i sentimenti che avevo riposto in una scatola, mai spariti, sempre lì, a ricordarmi che lei è l'unica, l'unica che io abbia mai amato, l'unica che amo ancora e l' unica che amerò per sempre.

È evidente che, il mio piano di starle lontano è miseramente fallito. Lavoreremo assieme per il resto dei giorni. Anche perché, a detta di Lauren, "la segretaria è intoccabile". Non che l'avrei licenziata ma, vederla tutti i giorni, renderà tutto più difficile.

Vederla mi ha sconvolto e sapere che ha un  altro uomo mi ha distrutto.

Sono stato tre anni per conto mio senza mai cercarla. So per certo che è stata bene e questo mi basta. Si sa, gli errori si pagano, e io sto scontando la mia pena.

Quando è scappata via da me, sabato sera, mi è sembrato di rivivere quel giorno di tre anni prima. Con la speranza nel cuore di averla accanto ancora un po'. Non posso averla, ma rivederla è stata una sorpresa.

Esco dall'ascensore e, la prima cosa che vedo, è Astrid che parla con Matt. Quando i nostri sguardi si scontrano, il suo volto, da nervoso, diventa un misto di confusione edisgusto. Alla fine cade tra le braccia di Matt.

Mi precipito subito al suo fianco, prendendola dalle braccia di Matt e stringendola al mio petto. Non sembra svenuta. I suoi occhi faticano ad aprirsi, mentre la chiamo.

«Ehi, Astrid. Piccola, apri gli occhi» le sussurro accarezzandole la guancia.

«Forse è meglio se la lasci respirare un po'» mi suggerisce Matt.
Giusto. Alzoo leggermente il viso, senza mai smettere di guardarla o toccarla.

La osservo, mentre le sue palpebre si alzano lentamente e i suoi occhi – pieni di lacrime - incontrano i miei. Mi fa male il fatto che pianga. L'ho già ferita abbastanza e adesso, la mia comparsa dal nulla, deve essere stato un shock per lei. Be', benvenuta nel club perché anche per me lo è stato sabato.

«Piccola, ciao» la saluto, facendole un breve sorriso.

Nel suo sguardo di ghiaccio c'è solo un'emozione che si sta facendo strada: la rabbia.

Allontana bruscamente le mie braccia dal suo corpo e si alza velocemente, mi guarda spaventata, come se avesse visto un fantasma. Come se non credesse ai suoi occhi.

«Perché sei qui? Qualcuno ti ha chiamato?» mi chiede, spaventata.

Non capisco a cosa si riferisca, so solo che vedermi qui è una sorpresa per lei tanto quanto lo è stato per me scoprire che lei sarebbe stata la mia segretaria per i prossimi giorni a venire.

»Chi avrebbe dovuto chiamarmi?» chiedo.

«E allora perché sei qui?». È chiaro che sta seguendo i suoi pensieri perché sembra più che evidente che anche io lavoro qui.

«Astrid, io sono il nuovo amministratore delegato dell'azienda. Te l'ho detto ieri sera».

«Eri tu, ieri sera?» chiede incredula. Intanto Matt ci guarda in silenzio  ma gli lancio un'occhiata per fargli capire di andarsene. E, per fortuna, capta il messaggio e se ne va.

«Sì, piccola. Ero io».

«Non chiamarmi così!» esclama, puntandomi il dito contro. «Perché cazzo non me l'hai detto che eri tu, eh? Ci saremmo risparmiati tutto questo teatrino, oggi! Continui ancora a farmi del male? Ti piace vedermi soffrire?».

La durezza delle sue parole mi colpisce dritta al petto e non so cosa dire. Rimango fermo immobile mentre la guardo sfogare la sua rabbia contro di me. Anche se posso capire la sua rabbia, dopo il modo in cui l'ho lasciata.

«Ecco, bravo. Stai zitto che ci fai più figura».

La guardo mentre si siede dietro la sua scrivania e tornare al lavoro.

«Astrid...» la imploro. Vorrei parlarle. Mi avvicino alla sua scrivania e le prendo la mano, che ritira immediatamente.

«Non mi toccare. E adesso avrei del lavoro da sbrigare, per favore».

La sua collaborazione è pari a zero, ma ok. Sono consapevole del fatto che ho molto da farmi perdonare, ma ho tutto il tempo a disposizione. Quindi non posso pressarla adesso devo soltanto dargli il tempo di digerire la notizia. Torno così nel mio ufficio lasciando la questione in sospeso.
Dobbiamo chiarire le nostre divergenze se dobbiamo lavorare bene insieme. E lei non può tirarsi indietro.


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¹ citazione dal web.

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