Capitolo 59

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Jason
Avevo capito subito che c'era qualcosa che non andava, ma non mi sarei mai immaginato che Astrid scoppiasse a piangere senza un apparente motivo.
Mi precipito, quindi, subito al suo fianco mentre con occhi tristi e pieni di lacrime ascolta in silenzio chiunque le stia parlando dall'altro capo del telefono.

«Astrid, piccola. Che succede?» chiedo.

Lei continua a tenere gli occhi fissi nei miei e mi inginocchio per poterla guardare meglio. La sue espressione addolorata mi fa male al petto e non riesco a pensare nessun modo per farla stare meglio. Mi sta facendo preoccupare perchè mi guarda intensamente senza realmente vedermi. Mentre ascolta chi le sta parlando e poi dice: «Lo farò. Ciao mamma».

Tiro un breve respiro di sollievo, ma non basta a farmi tranquillizzare.

«Piccola, stai bene?» chiedo ancora, ansioso.

Sembra in uno stato di shock e la sua espressione sembra essere colma di dolore e rimpianto.

«Astrid, parlami per favore» la imploro.

«Sto male, Jase. Niente va bene» sussurra, tra un singhiozzo e l'altro.

Mi si stringe il cuore a quelle parole perche sono totalmente impotente. Sembra così fragile e spaventata...

«Cos'è successo? Vuoi parlarne?».

«Sì, voglio parlartene».

«Vuoi che ti porti a casa?».

«Sì, ti prego».

Quando Astrid si alza, la attiro tra le mie braccia e si lascia andare ad un pianto liberatorio. Si aggrappa a me come se fossi la sua àncora di salvezza, come se fossi l'unica cosa che la tiene a galla. Sentirla piangere in questa maniera mi distrugge. Non oso immaginare tutto quello che ha dovuto passare quando me ne sono andato, o quando si è trovata ad affrontare altri problemi da sola. Rimpiango quello che ho fatto. Rimpiango di non esserle stato accanto, ma non rimpiango il motivo per cui l'ho fatto. Ma adesso che la vedo in questo stato, mi maledico per non averla tenuta con me.
Quando sciolgo l'abbraccio asciugo, con i pollici, le restanti lacrime dal suo volto. Mi imprigiona col suo sguardo e mi rendo conto di quanto mi faccia soffrire il dolore dipinto sul suo viso. Di quanto la amo...

Aiuto Astrid a raccogliere tutte le sue cose, la prendo per mano e la conduco dentro l'ascensore. Non la lascio per un solo momento finché non raggiungiamo la mia auto. Penso per un breve attimo di portarla a casa mia, ma è già abbastanza sconvolta e accantono l'idea, dirigendomi verso casa sua. Il tragitto in macchina è breve e silenzioso e quando entriamo nel monolocale il silenzio si fa ancora più pesante.
La osservo mentre compie dei gesti - come togliersi le scarpe - come un'automa e raggiunge la sua camera, coricandosi sul letto. Mi siedo al suo fianco nella speranza che si calmi e inizi a raccontarmi tutto ciò che la turba, ma Astrid non accenna a parlare. Tenersi tutto dentro non la aiuterà, così cerco di spronarla.

«È successo qualcosa a casa dei tuoi genitori?» chiedo.

Lei scuote la testa senza emettere un suono. Avrà bisogno di tempo. È ancora sconvolta e parlare quando si sarà calmata sembra essere la migliore opzione. Faccio per alzarmi, ma mi sento afferrare per un braccio, intreccia le dita alle mi e mi tira nella sua direzione.

«Non te ne andare. Per favore» mi implora. «Puoi sdraiarti solo un po' qui con me?».

Agisco immediatamente perché, se è questo quello di cui ha bisogno, posso farlo subito senza il minimo sforzo. Quindi mi sdraio allargando le braccia e baciandole la fronte, permettendole di accoccolarsi sul mio petto. La cullo nel mio abbraccio finchè non si addormenta.
La osservo da minuti. Il battito impazzito del suo cuore si è regolarizzato e il suo respiro si è calmato. Sembra così piccola e indifesa. Ha tutto il viso arrossato e coperto dalle sbavature del mascara che è colato mentre piangeva. Ancora non riesco a capacitarmi di quello che l'ha fatta sbroccare in quella maniera. Deve essere veramente qualcosa di brutto per averla fatta chiudere in questo silenzio assordante. Vorrei farla parlare immediatamente, sapere quello che la turba e alleviare il suo dolore in qualsiasi maniera mi venga in mente.
Mi ha detto che me ne parlerà e le credo.
Guardo l'orologio sul comodino e libero Astrid dalla mia presa. Dorme pacificamente e le sue labbra sembrano sorridere. É tranquilla, come se quello di oggi fosse stato solamente un brutto incubo.
Raggiungo la cucina, recupero le chiavi del suo appartamento e scendo in strada diretto al nido.
È mezzogiorno e, quando Elia mi vede arrivare, inizia ad agitare le manine nella mia direzione e mi chiama "papà" a gran voce. Non mi sono ancora abituato a sentirmi chiamare così, ma so solo che ogni volta che sento la sua vocetta vispa che lo fa, mi si scoppia il cuore di gioia. Mentre ci dirigiamo verso l'uscita, ascolto interessato Elia che mi racconta quello che ha fatto oggi e poi mi chiede della sua "mammina", come la chiama lui.

Il tuo cuore lo porto con meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora