Capitolo 50

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Jason
Sono ore che gioco con mio figlio e che lancio occhiate furtive ad Astrid. Sembra nervosa e non ne capisco il motivo. Sembra quasi che volesse dirmi qualcosa, ma se ne pente all'ultimo momento. E poi continua a far squillare quel maledetto telefono e mi sta dando su i nervi. Più che altro perché è distratta da quando sono arrivato a casa sua e non mi calcola di striscio. L'unica nota positiva in tutto questo è che non sembra avercela con me.

«Papi» mi chiama Elia, colpendomi il braccio per attirare la mia attenzione.

Ancora non mi sono abituato al fatto di essere chiamato "papà" o "papi", ma ogni volta che sento quella parola uscire dalla bocca del mio bambino mi sento sciogliere. Solo una volta nella mia vita mi sono sentito così felice, ed è stato tutto il periodo in cui sono stato insieme ad Astrid. Adesso è tutto diverso tra noi ma, nella "disgrazia" mi ha regalato il miglior bambino del mondo e sono felice di essere diventato padre, nonostante la mia età. Avevo sempre pensato di mettere su famiglia tardi, o di non farlo proprio. Ma adesso sono qui, a ventisei anni, che osservo il mio piccolino che mi guarda con i suoi occhioni felici, come se mi venerasse. Come io guardo lui. Mi dispiace solamente di non essermelo goduto fin dall'inizio.

«Dimmi, piccolo» dico mettendomelo in braccio.

«Dommi comme?»chiede.

«No, amore» interviene Astrid, avvicinandosi. «Papà non può dormire con noi. Deve tornare a casa sua».

«E pecchè?».

«Perché la mamma non mi vuole qui» gli dico sorridendo, girandomi a guardare Astrid.

Non sembra contenta della mia affermazione e forse avrei potuto, sul serio, risparmiarmela.

«Pecchè, mammina?».

«Non è vero, tesoro. Papà deve tornare a casa sua perché deve riposarsi».

«Guarda che posso dormire anche sul divano, se mio figlio vuole che rimanga qui» dico antipatico. Sono indisposto perché sembra che voglia buttarmi fuori di casa sua il prima possibile.

«Non farò dormire mi figlio su un divano!» esclama, con le sopracciglia aggrottate.

«Okay. Possiamo tutti e tre nel tuo letto» affermo, soddisfatto per il colpo di genio.

Fremo all'idea di condividere di nuovo il letto con lei, anche se potrò solo guardarla e niente più. Del resto, chi si accontenta gode!

«Ho capito. Dormo io sul divano» dice Astrid rassegnata, allontanandosi. Non mi dà nemmeno il tempo di ribattere e dirle che non voglio che dorma sul divano solo per farmi un piacere. Anche se dubito fortemente che il piacere lo faccia a me. Lo fa per il bene del bambino, ma possiamo trovare un compromesso.

Metto giù Elia e la seguo in cucina, sbarrandole la strada per il frigo. Mi guarda con le mai ai fianchi, scocciata.

«Non ho intenzione di buttarti fuori dal tuo letto. Sai, ci possono essere altre soluzione se il mio bambino vuole dormire anche con me. Non credi?»

«Per esempio?» dice, sfidandomi. Come se non mi credesse... piccola impertinente!

«Per esempio andare a dormire insieme e...».

«Non esiste, Jason» mi interrompe. «Noi non lo faremo».La sento borbottare qualcosa che non riesco a sentire.

«Ripeto: andremo a dormire insieme. Tutti e tre. E quando Elia si sarà addormentato, me ne torno da dove sono venuto se ti do tutto questo fastidio» concludo.

Mi guarda, in silenzio, non sapendo cosa fare. «Allora?» la incalzo.

«Si può fare. Ma tu dormi sul divano!».

«Nessun problema» dico, sorridendole. «Allora, cosa facciamo stasera?».

Astrid
«Allora, cosa facciamo stasera?» chiede Jason, entusiasta.

Ehm... cosa potremmo fare? Io, in realtà, sarei stata invitata a cena da un bellissimo medico che sembra impaziente di cenare con me. Continuo a ricevere messaggi di Justin dove cerca di convincermi a convincere - che giro di parole, eh?- Jason a tenersi Elia per una sera. Finora gli ho solo mandato risposte evasive perché, sul serio, non so che fare. O meglio, so cosa vorrei fare. Ho il timore di chiedere a Jason di farmi un altro favore nel giro di pochi giorni. So che non si tirerebbe indietro, ma se lo facesse?

«Innanzi tutto, togliti da lì perché mi stai intralciando» dico, scherzando. Quando si sposta, apro il frigo per prendere quello che mi serve per preparare qualcosa da mangiare ad Elia. «Hai da fare stasera? Ti fermi a mangiare qui?» gli chiedo.

«Perché no? Non mi dispiacerebbe passare un po' di tempo in più con mio figlio» dice facendo spallucce.

Quindi non gli importa di passare anche del tempo con me. Comunque, la cosa più importante adesso, è che voglia passare il tempo con il mio bambino. Vedere che lo ha accettato, che voglia prendersi cura di lui, che lo ama incondizionatamente è tutto ciò che potessi desiderare per Elia. E anche se le cose tra me e Jason sono in bilico, preferisco rimanere in questa situazione. Dopotutto, chi si accontenta gode!

«Ottimo!» affermo. «Senti, avrei un impegno. Mi chiedevo se tu...».

«Che genere di impegno?» mi interrompe.

«Una sorta di appuntamento».

«Un appuntamento?» chiede incredulo. «Con chi?». Mi sento un po' presa in giro dalla sua incredulità, come se fosse impossibile che qualcuno mi avesse invitato a uscire.

«Sì, è così difficile da credere?» dico, incrociando le braccia al petto.

«Cosa? No! Non è quello che intendevo?» si giustifica.

«E cosa intendevi, Jason? Solo perché tu non mi vuoi, non vuol dire che non ci sia nessuno disposto ad uscire con me. Mi dispiace deluderti, ma c'è!» affermo decisa.

«Senti, Astrid, non voglio litigare. Semplicemente volevo solo sapere con chi esci stasera».

«Quindi non è un problema per te se rimani con Elia?».

«Certo che no. Ti ho detto più volte che farei tutto per lui. Ancora non capisco com'è che non ti sia entrato in testa!» dice esasperato. «Allora, me lo dici con chi esci?».

«Con Justin» dico evasiva.

«Dovrei saperi di chi parli?».

«Justin McDowell, il dottore dell'asilo».

«Lo sapevo» dice, sottovoce. «Lo sapevo».

Lo osservo mentre serra i pugni. Sul suo volto vedo comparire la rabbia mentre contrae la mascella e mi fissa con aria di disapprovazione. O gelosia? Mi dispiace per lui ma ogni lasciata è persa. Anch'io ho facoltà di scegliere con chi voglio stare e, per il momento, non è lui.

«Ha trovato il coraggio di venirti a parlare dopo aver lasciato metri e metri di bava dietro di sé? Aspettava solo che non ci fossi io. Lo sapevo».

«Non è come pensi. Ci siamo visti venerdì e poi oggi all' asilo».

«Hai incontrato lui venerdì?» chiede ancora curioso.

Annuisco e, dopo secondi di silenzio che sembrano infiniti, lo osservo mentre si ricompone e mi fa un sorriso forzato e mi sorprende, dicendo: «Ti serve uno strappo da qualche parte?».

È definitivo: io lo odio. Odio il fatto che non gliene importi niente di me, che non vuole ricostruire più niente con me e che mi sta buttando tra le braccia di qualcun altro. Da qui si vede quanto una persona ci tiene a te e per Jason sono niente. Sono sempre stata niente.

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