Capitolo 33

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Astrid
«Questa sarebbe la tua specialità? Maccheroni al formaggio cotti al microonde?» chiedo divertita.

«Te l'avevo detto che ti avrei stupita».

Jason e io siamo seduti l'una di fronte all'altro al tavolo della sua cucina. Sembriamo una coppia di fidanzati, intenti a mangiare tranquillamente un piatto di pasta, con il proprio figlio che dorme beato sul divano.

«Sono buoni però» commento.

«Ho trovato un negozio di surgelati poco lontano da qui. Hanno tutto: dalla pasta alle verdure e la frutta. Ho trovato persino il brodo di pollo surgelato. Sono troppo pigro per imparare a cucinare. Per non parlare del fatto che passo la maggior parte del mio tempo in ufficio. Non avrei proprio il tempo».

«Ancora non hai imparato?» chiedo divertita.

«Perché, tu si? Ricordo che eri una frana ai fornelli».

Mi sorride, prendendomi un po' in giro, ma riesce comunque a farmi divertire.

«Ho dovuto imparare in fretta. Con lui», indico nostro figlio, «non potevo permettermi sandwich o altri cibi del genere. Quindi ho abbandonato definitivamente prodotti surgelati e confezionati».

”Quindi è questo che hai fatto negli ultimi anni? Hai imparato a cucinare?».

«Be', sì. Ho imparato a cucinare e mi sono presa cura del piccolo a trecentosessanta gradi».

Mi sono occupata solo ed esclusivamente di Elia. Mettendo da parte le mie esigenze"' da ventenne e programmando la mia vita in funzione di mio figlio. Lui sarebbe venuto prima di qualsiasi alta cosa. Lui era, è e sarà sempre la mia priorità numero uno.

«Hai lasciato l'università...». Jason lascia la frase a metà nella speranza che io continui.

«Come avrei potuto continuare? Stavo male fisicamente. E poi avevo scoperto da poco di essere incinta. E poi... ero così ferita. Non sarei sopravvissuta un solo momento in più e non... e non...». E mi sarei solo fatta del male sapendo che eri li e non potevo averti. Tu la causa e la cura al mio malessere e della mia tristezza. Non avrei potuto far nulla per migliorare la situazione. Tanto tu avevi fatto già la tua scelta e a me spettava fare la mia.

Peccato che tutte queste parole non dette se le porti via il vento. Credo che non avrò mai il coraggio di confessargliele. Non capirà mai quanto ho sofferto per lui.

«E non? Continua» insiste lui.

«Niente. Lascia perdere». Mi alzo, gettando il resto del cibo nell'immondizia e posando il piatto nel lavello.

Raggiungo mio figlio sul divano che non vuole sentirne di svegliarsi.

«Dorme ancora. Non vorrei svegliarlo» dico.

«Io ho due camere da letto libere. Ne potresti scegliere una da usare come la sua cameretta. Potrei compare una culla e dei giochi. In modo che si senta a casa quando verrà qui» propone Jason.

«Capisco che sei suo padre, ma non credo sia una buona idea lasciare che dorma qui. Elia non ha mai dormito con nessun altro a parte me. E Brad, una sola volta. Ma Brad non conta perché lo conosce già. È suo zio. Praticamente l'unica figura maschile che abbia mai avuto nella sua vita. Sei un estraneo per lui».

«Certo, tu non hai permesso che io facessi parte della sua vita. Comunque sta tranquilla, non pretendevo che dormisse qui da solo. Non lo separerei mai da sua madre».

E così dicendo, mi lascia da sola in salotto.

Sono una tale stupida. Mi ha proposto una cosa carina. Vuole fare una cameretta per suo figlio, fare in modo che il bambino stia bene quando verremo da lui. Vuole occuparsi di lui, me l'ha detto. Me lo dimostra facendo piccoli gesti e io lo smonto perché penso che non sia la cosa giusta.
Come può non esserlo?! Un bambino ha bisogno del padre a prescindere dal fatto che Jason stia con me o meno. La sua proposta è il gesto più bello e carino che potesse dire e fare nei confronti del nostro bambino.
Non sono mai stata brava a leggere tra le righe. Come ho potuto pensare che Jason volesse Elia solo per sé?! Siamo così diversi noi due... sono stata io l'egoista che gli ha tenuto nascosto suo figlio. Ho visto quanto ha sofferto quando l'ha scoperto. Non mi avrebbe mai riservato lo stesso trattamento che io ho riservato a lui.

Gli corro dietro, afferrandolo per un braccio e strattonandolo leggermente. Riesco a fermarlo me, quando vedo che non si volta, mi piazzo di fronte a lui. Vedo il suo volto offuscato perché le lacrime iniziano ad annebbiarmi gli occhi.

«Perdonami. Jason, scusami. Pensavo che...» farfuglio tra le lacrime.

«Pensavi cosa? Che mi sarei comportato da pezzo di merda. Lo sai qual è il nostro problema, Astrid? Noi non ci capiamo. Tu fraintendi sempre le mie parole e non ti fidi di me. Come potremmo mai andare d' accordo?!».

C'è rabbia nella sua voce. Jason libera così dalla mia presa, sbattendomi la porta della sua camera in faccia.

Jason
Quando penso che tutto stia andando per il meglio, lei rovina sempre tutto. Come può pensare che voglio privarla di nostro figlio? Davvero pensa che sia tutto rose e fiori per me?
Voglio che il bambino mi conosca gradualmente, senza sconvolgergli la vita. Ogni programma che penso possa andare bene per lui, include anche lei. Come crescerebbe un bambino se se lo contendessero due genitori irresponsabili?!
Non voglio che Elia soffra per le nostre incomprensioni, ma sarà meglio che Astrid cresca un po'. Lo capisco, è suo. Ma è anche mio. Ha paura di qualcosa? L'unica cosa che non dovrebbe avere è proprio la paura perché voglio il bene di nostro figlio tanto quanto lei e voglio iniziare dai piccoli gesti.
Voglio mettere in quella cameretta tutto quello che possa far star bene mio figlio e anche sua madre. Voglio che stiano bene e a loro agio, che si sentano sempre a casa loro.

Quando Astrid mi sbarra la strada, piazzandosi di fronte a me, capisco quanto è pentita.

«Perdonami. Jason scusami. Pensavo che...».

«Pensavi cosa? Che mi sarei comportato da pezzo di merda. Lo sai qual è il nostro problema, Astrid? Noi non ci capiamo. Tu fraintendi sempre le mie parole. E non ti fidi di me. Come potremmo mai andare d'accordo?!».
La lascio di nuovo da sola chiudendomi con forza la porta alle spalle.

Sento il pianto del bambino.

Maledetto idiota. L'ho svegliato di colpo sbattendo la porta e l'avrò spaventato a morte.

Esco dalla camera e vedo Astrid in versione mamma iperprotettiva. La capisco quando non vuole che mi avvicini troppo ad Elia, ma devo imparare a fare il padre. Ma come posso se lei continua ad impedirmelo?

«Amore, non piangere. Tra un po' saremo a casa» dice, coccolando il bambino che, al suono della voce della mamma, sembra tranquillizzarsi.

«Starai scherzando, spero. Dove pensi di andare?» chiedo con voce pacata. L'ultima cosa che voglio è spaventare di nuovo mio figlio.

«A casa. Prenderemo un taxi e togliamo il disturbo».

Sta seriamente mettendo a dura prova la mia pazienza. Non ha capito niente. Voglio nella mia vita il bambino e nonostante tutto anche lei. Come può solamente pensare di disturbare?

«Un taxi? A quest'ora della notte da sola con un bambino? Non ti facevo così stupida».

Non osa ribattere. È evidente per tutti che sarebbe più saggio rimanere qui per questa notte.

«Potete sistemarvi nella camera accanto alla mia e, per favore Astrid, non fare niente di stupido».

E mi riferisco proprio al fatto che possa lasciare casa mia nel cuore della notte, mettendo in pericolo sé stessa e il nostro bambino. Non glielo perdonerei mai.

Per fortuna capisce dove voglio andare a parare e sussurra: «Non me ne andrò». 

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