Capitolo 12

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Jason
Dopo la pausa pranzo conosco Veronica, la segretaria che subentra subito dopo il turno di Astrid. Continua guardarmi in modo strano, come se cercasse di capire qualcosa. A Matt invece fa già gli occhi a cuoricino, nonostante con lui abbia già avuto un battibecco.

Nel pomeriggio sono più concentrato dal momento che non ho nessun tipo di distrazione. Mi immedesimo nel mio lavoro e mi occupo solo ed esclusivamente di quello, portandomi avanti per evitare di accumulare scadenze.

Matt invece continua a fare il marpione con Veronica chiamandola "bocconcino" e sporgendosi troppo oltre la scrivania, invadendo il suo spazio personale. Lei sembra un po' a disagio, ma potrei azzardare che le fa piacere. Ignori comunque quei due, ma non posso fare a meno di fare paragoni. Se Astrid e io fossimo stati in buoni rapporti a quest'ora sarei stata io quello a sporgermi nella direzione di Astrid. Solo che le cose sono completamente diverse e per lei è come se non esistessi. Questa mattina non si è degnata di passarmi nessuna chiamata e pur di non dirmi chi c'era dall'altro lato del telefono, ha preferito passare tutte le chiamate a Matt.

D'un tratto, poi, mi viene un'illuminazione. Dal momento che sono il capo e ho libero accesso ai dati personali dei miei dipendenti, quindi indirizzi e numeri di telefono, apro la cartella archivio nel mio computer e cerco Allen Astrid. Trovo tutto ciò che mi serve e non posso fare a meno di notare che il suo numero è sempre lo stesso. Copio tutto negli appunti del PC e mando un'email all'indirizzo della mia posta elettronica in modo tale da recuperare il tutto più velocemente dal mio smartphone. Dopo aver finito il turno, raggiungo il mio appartamento.

La casa in cui vivevo a Trenton era diversissima dall'appartamento in cui vivo adesso. Abito da solo in 180 mq di appartamento, nel centro della città. Una gentilezza offertami da Matt e sua madre. Pago l'affitto, ma non quanto dovrei. Il design è unico e moderno nel suo stile. La cucina moderna, bianco avorio, dona luce alla stanza. Il salone è enorme, con due enormi divani e un piccolo mobile con sopra una TV altrettanto grande; non vedo cosa potrei farmene, ma è qui è ogni tanto la guardo. Per non parlare poi delle tre camere da letto e i due bagni. Insomma, una casa vuota praticamente. Mi chiedo come sarebbe riempirla con Astrid e tanti bei bambini con i suoi occhioni dolci...
Scaccio subito il pensiero dalla mente perché, molto probabilmente Astrid vivrà già con qualcuno e non mi stupirei visto che a New York gli affitti sono abbastanza alti.

Mi metto sotto la doccia e ripenso a quanto è stato bella averla tra le braccia oggi, a quanto sia bella e a quanto sia stato stupido a lasciarmela sfuggire. Mi ripeto sempre che l'ho fatto per lei, ma avrei potuto chiamarla qualche volta. Penso di chiamarla dopo la doccia e rifletto sul da farsi. Potrei andare direttamente a casa sua, ma visto l'orario non mi sembra un'ottima idea.

Qualche minuto dopo aver finito decido che chiamarla non è poi una così cattiva idea. Quindi prendo il cellulare e compongo quel numero che non ho mai dimenticato.

«Pronto?»

«Piccola.. cioè Astrid, sono Jason».Cazzo!

«Come hai fatto ad avere il mio numero?» chiede.

«Sono il tuo capo, ho accesso a tutto quello che ti riguarda e lo conosco il tuo numero».

Dall'altro capo del telefono sento solo silenzio.
«Baby, ci sei?».

Perché non mi entra in questa cazzo di testa che per me lei adesso è solo Astrid? «Astrid, ci sei?» rettifico.

«Ehm.. sì. Scusami. Come hai avuto il mio numero, Jason?» chiede.

Dall'altro capo sento un urletto e chiedo: «È un bambino quello che urla?».

«Cosa? No! È la TV» dice nervosa.

«Bene. Ho chiamato per dirti che sto venendo a casa tua. Devo parlarti» insisto.

«Non puoi venire a casa mia, Jason. Neanche sai dove vivo».

«Lo so dove vivi. Tra un quarto d'ora sono da te» la avviso.

«Non sono a casa» si affretta a dire.

«E dove sei?».

«Sono da Brad» dice.

Dal suo tono di voce posso capire di quanto adesso la sto infastidendo. Ma dal momento che sono insistente e molto curioso (e adesso anche molto geloso) chiedo ancora: «Si chiama così il tuo ragazzo?».

«No, idiota. Brad è mio cugino, quello che hai conosciuto. Non mi spiego neppure perché ti sto dando questa spiegazione. Senti, ci vediamo domani al lavoro». E senza esitare un attimo mette giù.

Bene, l'ho fatta innervosire. Però ha detto "Ci vediamo domani al lavoro" quindi ci sono buone probabilità di riuscire a parlarle, no?

Comunque, dovrei davvero farla respirare. Ci rivediamo adesso dopo tre anni e non faccio altro che pensarla nella stessa maniera in cui la pensavo prima. La amo ancora. Come si può dopo tutto questo tempo? È davvero destino? Un tempo glielo ripetevo sempre e mi sto convincendo sempre di più che è così. Di tutti i luoghi in cui avrebbe potuto lavorare io l'ho ritrovata qui.

La verità è che non ho mai voluto lasciarla. Le circostanze mi hanno fatto agire diversamente. Rimpiango il momento in cui le ho detto quelle parole, ma quando vedo la donna che è diventata adesso, credo di aver preso la decisione giusta. Le avevano sparato e sarebbe guarita da lì a poco e non avrei permesso che si facesse carico dei miei problemi.
Adesso sembra più forte e determinata e non c'entra l'aspetto. La sicurezza e la freddezza le avrà acquisite nel tempo, dopo che uno stronzo le ha spezzato il cuore.

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