Capitolo 17

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Jason
Quando ieri sera non ho più ricevuto nessuna risposta di Astrid non immaginavo che neanche questa mattina si sarebbe presentata a lavoro. Per questo, quando vedo Veronica già seduta alla scrivania, mi chiedo se sia successo qualcosa. Inoltre, Astrid non ha avvisato che non sarebbe venuta. Vado così verso Veronica che, prima che riesca ad aprire bocca, mi dice: «Astrid sta male. Ha l'influenza».

Aggrotto le sopracciglia perché mi sembra abbastanza strano dal momento che fino a ieri sera era disposta ad uscire. Inoltre, non l'ho nemmeno trovata a casa, il che vuol dire che era fuori.

«E non dovrebbe avvertire qualcuno, se è malata?» chiedo.

«Ha avvertito me».

«Intendo Matt o me».

«Non saprei. Cioè per Lauren non era importante. A lei interessava che il posto non restava mai scoperto, per cui eccomi qua al posto di Astrid» conclude.

Annuisco perplesso, ma me lo faccio stare bene. Nel frattempo, anche Matt arriva in ufficio ed esordisce: «Buongiorno, bocconcino».

«Buongiorno signor Jefferson» risponde educata Veronica. Azzarderei anche un po' in imbarazzo al suono di quel nomignolo.

«Te l'ho detto, il signor Jefferson è mio padre».

Quasi quasi mi sento di troppo in questo battibecco e guardo Matt finché non raggiunge la sua scrivania. Sto per chiedere a Veronica se l'ha sentita questa mattina, ma poi lascio perdere, scuoto la testa e me ne torno a lavoro.
Purtroppo, non riesco a mantenere la concentrazione a lungo perché Astrid popola i miei pensieri con i suoi comportamenti altalenanti. Prima chi scrive per chiedermi di bere un caffè, poi non risponde più e infine non si presenta nemmeno a lavoro perché "ha l'influenza". È davvero malata? Se è così tanto vale che me ne accerti di persona.

Poiché l'appartamento di Astrid è a pochi isolati da qui, decido di saltare il pranzo e fare una lunga passeggiata fino a casa sua. Dopo avere raggiunto il palazzo, suono il campanello.

«Chi è?» risponde al citofono Astrid.

«Sono io» mi limito a dire.

«Jason?» chiede.

La cosa positiva è che abbia riconosciuto la mia voce, la cosa strana è che nella sua, invece, si scorge una punta di "allarme" misto a nervosismo.

«Sì, posso salire?». Dal momenti che non ricevo nessuna risposta, chiedi nuovamente: «Piccola, ci sei?».

«Ehm, sì. Scusa. Diciannovesimo piano».

Dopo essere entrato e aver preso l'ascensore, la trovo ad aspettarmi davanti la porta.
Ha addosso un paio di leggins grigi che fasciano le sue cosce in maniera perfetta, anche la canottiera aderisce perfettamente al suo corpo e i capelli raccolti in una crocchia disordinata lasciano scoperto il collo. Il suo viso completamente privo di trucco mi ricorda di quanto è meravigliosa a che al naturale. Comunque, mi impongo di non fissarla a lungo e non fare pensieri sconci su di lei, cosa che fallisce miseramente quando si gira per farmi strada in casa sua.

«Sei sola?» chiedo timoroso per paura della risposta.

«Ehm sì. Con chi dovrei essere?».

«Non lo so. Con il tuo ragazzo?».

«Jason te lo dico solo questa volta e poi spero che la smetterai con questa storia.Non ho nessun ragazzo. Continui a ripeterlo. Non so come ti sia venuto in mente».

La guardo stupito, il mio cuore perde un battito e si riempie di speranza. Si è lasciata da poco? «Non hai un ragazzo?» insisto. «Ma me l'hai detto tu".

«Be', avrai frainteso. Non ho più avuto un ragazzo da quando...» lascia la frase a metà. «Allora, vuoi entrare o pensi di stare lì impalato tutto il giorno?».

L'appartamento di Astrid è più piccolo di quando credevo. La cucina raccolta prende solo una parete che è un tutt'uno con il soggiorno, dove si trovano un tavolo per sei con un piccolo divanetto a due posti. Al lato opposto della stanza tre porte, presumo che due siano camere da letto e l'altra sia il bagno. Il posto è piccolino, ma perfetto per chi vive da solo.

«Siediti» mi invita, indicando il divano. «Come mai sei qui?».

Faccio come mi dice e lei si siede al mio fianco. «Non sei venuta al lavoro. Veronica ha detto che avevi l'influenza. Stai bene?».

«Sì, avevo un po' di emicrania stamattina».

Astrid non sembra molto convinta quando parla, il che mi porta a pensare che non centra nulla né l'influenza né l'emicrania. Anzi, penso proprio che non si sia presentata a lavoro di proposito. Dal momento che sono venuto qui per una ragione, vado dritto al punto e chiedo: «Non hai risposto ai miei messaggi ieri sera...».

«Sì, io... l'ho completamente rimosso. Ero da Brad e Megan».

«Brad e Megan? Stanno ancora insieme quei due?» chiedo stupito al ricordo di questi due anni fa.

«Sì, sono praticamente inseparabili.Hanno fondato la MB Agency e adesso abitano qui anche loro» dice, allegra.

«MB come Man in Black?» chiedo cercando di fare il simpatico, e ci riesco perché riesco a fare sorridere Astrid.

«No, stupido. MB come Megan e Brad. La loro è una agenzia di moda».

Astrid mi racconta un po' di suo cugino e Megan e dopo un po' il discorso si sposta verso argomenti più leggeri. La cosa che mi stupisce ancora, dopo anni che siamo stati separati, è la naturalezza con cui riusciamo a interagire.

«Faccio un caffè» dice dopo un po', alzandosi. «Ne vuoi uno?».

«Sono venuto apposta per questo» dico facendogli l'occhiolino. Lei si allontana e non posso fare a meno di ammirarla in tutta la sua bellezza.

Come dei perfetti automi, anche mie gambe si alzano e la seguono. Astrid mi dà le spalle, indaffarata con la macchinetta del caffè, così Mi posiziono al suo fianco sfiorandole il braccio di proposito perché sono ritornato all'adolescenza e non vedevo l'ora di avere un minimo contatto con lei.

«Ti serve aiuto?» chiedo poi. È l'unica cosa sensata che mi viene in mente da dire perché, dal primo momento che sono entrato qui dentro, il mio unico pensiero è stato quello di spogliarla. Astrid rabbrividisce al mio tocco e scuote la testa, nervosa. Lo vedo dalla sua momentanea perdita della parola. Potrei stare uno stronzo mani lunghe ma starle vicino mi fa sempre di più venire voglia di toccarla e senza pensare mi ritrovo ad accarezzarle il braccio. La sua pelle si ricopre di pelle d'oca, il che vuol dire che gli faccio effetti. Meno male perché anche per me è così.
Comunque lo scopo principale della visita non era accarezzarla nella sua cucine, ma accertarmi che stesse bene. Dal momento che lo abbiamo appurato decido che devo tentare qualcosa, soprattutto adesso che so che non sta con nessuno.
Astrid smette di arieggiare con la macchinetta del caffè e si limita a guardarmi dritto negli occhi. Le sue guance sono arrossata e il suo sguardo carico di desiderio. Al che mi azzardo a postarle una mano sul fianco destro e la avvicino nella mia direzione.

«Ja.. Jason... che stai facendo?» chiede, balbettando.

«Niente, baby» le sussurro. «Voglio solo provare a fare una cosa».

Sposto, così, le mie mani sul suo viso e mi avvicino a lei sempre di più. Poso dolcemente le mie labbra sulle sue che, lentamente, si schiudono. Faccio scivolare la lingua all'interno della sua bocca e la cosa che mi sorprende di più è che Astrid risponde al bacio con il mio stesso trasporto.

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