Capitolo 10

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Astrid
Inizio a lavorare e mi accorgo che non posso chiudermi nella mia bolla personale, perché comporterebbe tenere la mente in subbuglio. So che adesso devo per forza interagire con Jason e non posso non parlargli per sempre. Adesso è il mio capo, lavoro per lui e non posso ignorarlo a vita, anche se lo farei volentieri.

Vederlo spuntare dal nulla è stato un colpo al cuore. All'inizio avevo paura che avesse sentito Luke e gli avesse detto del bambino, poi mi sono ricordata dell'ultima frase di Matt: "Ho saputo che tu e Jason vi siete lasciati. A quanto pare non è un problema per voi se lavorerete assieme". E poi sono mezza svenuta come un'idiota davanti a tutti. Se non ho fatto brutte figure a causa del mio ritardo, ci hanno pensato i miei umori.

Veronica aveva ragione: il nuovo CEO è meravigliosamente stupendo. Ieri sera ho avuto modo di apprezzare il suo corpo muscoloso, diverso rispetto a tre anni prima, anche i suoi capelli sono più corti e l'abbigliamento è WOW.  Jason adesso è un uomo in carriera tutto giacche e camice, sexy da togliere il fiato, ma questo lo è sempre stato, e l'unica cosa da cui non devo farmi abbindolare adesso è proprio il suo aspetto fisico. Cosa che credo sia partita abbastanza male. È bastato sentire il suo odore e vedere un pezzettino di torace a mandarmi il tilt  è stato questo a farmi inveire contro di lui. Non posso lasciare che la sua bellezza mi distragga. Anche se, per un momento, quando mi ha tenuta tra le braccia, carezzandomi la guancia e chiamandomi "piccola", mi ha fatto tentennare, facendomi provare sensazioni che non provavo da quando se n'è andato. Lui è l'uomo che mi ha lasciato da sola nel momento più brutto della mia vita. Per lui ero niente. L'uomo che sabato, quando ne ha avuto la possibilità, non è uscito allo scoperto. Adesso mi spiego le sensazioni provate con lo "sconosciuto". Non erano sensazioni campate in aria, le ho provate perché era lui. Come ho potuto non accorgermi di niente? Avrei dovuto riconoscere il suo tocco e la sua voce. Ma le sensazioni provate parlavano chiaro. E poi il fatto che si è soffermato sul mio polso: ha riconosciuto il suo bracciale. Avrà sicuramente pensato che sono patetica.
Penso alle parole di Veronica, ma adesso voglio essere io a vedere la sua faccia quando le dirò che Jason il nuovo capo è Jason il padre di mio figlio. Per non parlare del fatto che adesso sono davvero nei guai. Devo affrontare una verità più grande: dire a Jason di Elia. Come dovrei fare ad affrontare l'argomento? Non sono cose che si dicono con leggerezza, ancor più perché adesso che è giunta l'ora della verità realizzo di averla fatta davvero grossa. Sì, ero ferita e distrutta quando Jason mi ha lasciato, ma era necessario punirlo in questo modo? Di certo non lo è stato per Elia.

Mi impongo di scacciare i pensieri cattivi dalla mia mente e lavorare, ma questa mattina le ore sembrano non passare mai. Guardo di continuo l'orologio, ma le lancette sembrano muoversi a passo di formica, rendendomi sempre più nervosa. Inoltre, la posizione della mia scrivania non aiuta affatto perché sono praticamente di fronte Jason che continua a guardare nella mia direzione. Non oso alzare lo sguardo perché ogni volta che lo guardo mi viene da piangere. Ripenso sempre a come è finita tra noi e a come avrebbe potuto essere. Io, lui e il bambino. Amo già entrambi, avere anche Jason nella mia vita avrebbe reso la mia vita migliore.

Il nervosismo di Jason sta contagiando anche me e per fortuna arriva Matt in nostro soccorso, chiudendo la porta dell'ufficio e bloccando la mia visuale. Grazie Matt. Ripeto nella mia testa.

Jason è una bellissima visone, ma questo, in questo momento non aiuta a schiarirmi le idee. Quindi, meglio non vedere, che vedere e non poter avere.

Quasi alla fine del mio turno, inizio a raccogliere le mie cose dalla scrivania per metterle in borsa. Sono sollevata dal fatto che il mio turno stia per finire, ma proprio nel momento esatto in  cui sto per andarmene, ecco che lui fa capolino dalla porta.

«Astrid, ti va di pranzare insieme?» chiede Jason, uscendo dal suo ufficio.

Devo dire che ha davvero bella faccia tosta! Questa era l'unica cosa che non doveva chiedere. Semmai mi sarei aspettate delle scuse da parte sua, come prima cosa.

«In realtà ho finito il mio turno, adesso. Devo andare» dico, mettendo la borsa in spalla e dirigendomi verso l'ascensore.

«Vorrei parlarti» insiste lui.

«Te l'ho detto, sono impegnata».

«Già, sei impegnata. Dì al tuo uomo che io non ti avrei mai lasciata andare tutta da sola ad una serata in maschera».

«No, infatti. Tu mi hai lasciata e basta». E senza guardarmi indietro esco dall'ufficio senza aspettare un'ulteriore replica.

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