Parte 24 SENZA TE NON CI STO PIU'

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"Amore, vorrei stare sempre accanto a te a sussurrarti parole d'amore. Tenerti abbracciata per tutta la notte, fino al sorgere del sole. La tua mano nella mia e stringerti forte per non lasciarti andare mai più." 

(Pearl St Buck)


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 La sveglia del telefono suonò molto presto quella mattina. Natalia aprì gli occhi a fatica e, malvolentieri si alzò per dirigersi nel bagno a fare la doccia. Lasciò Can ancora che dormiva. Come incantata, si fermò a guardarlo e i suoi occhi si inumidirono. Svelta, si infilò nella cabina per evitare che la vedesse piangere, se si fosse svegliato. Le sue lacrime scesero molto più copiose e l'acqua le portava con sé, negli scarichi di Istanbul, come a lasciare una traccia in quella città che le aveva dato tanto e che lei amava. Si rese conto di singhiozzare e, per timore di essere sentita, cercò di soffocare quei singulti, ma il suo petto si sollevava a ritmi violenti. Cercò di respirare per calmarsi e si mise col viso rivolto sotto il getto dell'acqua tiepida. Non appena si fu calmata, uscì dal box, si avvolse nell'accappatoio, con un asciugamano si tamponò i capelli e iniziò ad asciugarli. Il rumore del phon le impedì di sentire aprire la porta del bagno e, non appena si girò, vide lui appoggiato allo stipite che la stava fissando. I suoi occhi esprimevano sofferenza, ma lei preferì ignorarli, altrimenti avrebbe reso tutto più difficile, si sarebbe avvinghiata a lui, piangendo disperata. E questo non voleva che accadesse.-" Nat, baby, buongiorno, come ti senti? Ti aiuto ad asciugare i capelli... dammi il phon, per favore." Glielo porse e non disse una parola, un nodo alla gola le impediva di poter parlare senza piangere. Mentre le asciugava la nera chioma fluente, la sua mano libera accarezzava quelle ciocche morbide e setose e, ogni tanto, anche la guancia. Non appena lei uscì per andare a vestirsi, si infilò lui sotto la doccia. Fu molto veloce e, prima che Natalia avesse finito di vestirsi, Can entrò in camera da letto con un grande asciugamano avvolto alla vita. Il torace scolpito e tutto quel meraviglioso corpo atletico, lo facevano apparire come una di quelle perfette statue greche, rappresentanti gli Dei dell'Olimpo, tanto era bello. Era troppo per lei, non ce l'avrebbe fatta, allora, uscendo dalla camera, disse-"Vado a preparare la colazione". Non appena lui ebbe finito di vestirsi la raggiunse in cucina, consumarono çai, biscotti e caffè, si lavarono i denti e, presa la valigia, si diressero verso l'aeroporto. Prima di scendere dalla Jeep, lui si tirò sulla testa il cappuccio della felpa che indossava sotto il parka, inforcò un paio di occhiali da sole e, insieme si diressero ad imbarcare il bagaglio. In questo modo non l'avrebbero riconosciuto e lei non sarebbe finita nell'occhio del ciclone. Bastava lui in pasto ai gossip, lei no. Geloso della sua vita privata, non voleva che si parlasse di lei in alcun modo, né, tanto meno, darla in pasto agli articoli di stampa. La prese per mano e la condusse nell'angolo più decentrato dell'aeroporto e la baciò con tutto il suo cuore triste e tutta la passione che possedeva. Non avrebbe voluto smettere più, ma mancava poco all'imbarco, così l'accompagnò al gate. Di nuovo si strinsero forte, per qualche istante, dimenticando per un momento il resto del mondo che li circondava e le loro bocche si unirono in un bacio profondo e disperato. Quando si separarono Can la guardò negli occhi, le sorrise e le augurò buon viaggio. Lei si incamminò verso il corridoio, con le lacrime agli occhi, si girò un'ultima volta e, da lontano gli mandò un bacio, per poi sparire nella folla. Dietro le lenti scure lui piangeva.

 Dalla sua finestra Natalia guardava le gocce di pioggia scivolare sul vetro, una dopo l'altra dapprima sole,  per poi combinarsi assieme, come le grosse lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi a bagnare le sue guance

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 Dalla sua finestra Natalia guardava le gocce di pioggia scivolare sul vetro, una dopo l'altra dapprima sole,  per poi combinarsi assieme, come le grosse lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi a bagnare le sue guance. Stavolta era stata malissimo, non immaginava di dover soffrire tanto e in modo così intenso, al punto da provare fitte di dolore in più parti del suo corpo. Ormai era trascorso più di un mese dal suo rientro a Roma e, ancora, piangeva come quando era partita e l'aveva lasciato in Turchia. Pensava a tutto quello che aveva vissuto con Can a Istanbul e sentiva un brivido alla bocca dello stomaco e un impeto furioso che le suggeriva di partire. Tutte le volte che si parlavano, lui la pregava di organizzarsi per rivedersi, solo lei poteva farlo, i suoi impegni giornalieri sul set non gli davano tregua e così non poteva andare. La voleva con sé. Quando decise di parlarne a sua madre, lei non esitò e, con una strana combinazione di entusiasmo e malinconia, le disse: "Devi farlo! Devi partire! Vivi la tua vita e sono sicura che starai benissimo. Se non dovesse andare bene, puoi sempre tornare. Io ti aspetterò. Ma è giusto che tu viva la tua storia con l'uomo che ami." Seppur felice, non riusciva a non pensare al fatto di lasciarla lì, sola. Ma volle essere ottimista, lei si era ripresa, si muoveva autonomamente, aveva completamente riacquistato l'uso chiaro della parola e tutti gli esami clinici erano a posto. Aveva, pian piano ripreso a svolgere tutte le attività, anche se con ritmi un po' più lenti. Si convinse che partire era la soluzione migliore, la paura di perderlo la distruggeva ed era certa di non avere la forza di sopportarlo. Informò Can, che all'udire di questa decisione, durante la videochiamata, si alzò di botto in piedi, rischiando di far cadere il laptop, e strinse i pugni coi pollici in sù. Nel giro di qualche giorno, Natalia cominciò a fare le valigie. Istanbul l'aspettava, lui l'aspettava e iniziò a contare le ore.



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NATALIA E CANDove le storie prendono vita. Scoprilo ora